Spesa pubblica "alla romana"

Tempo fa mi fu raccontata una breve storiella sul pagamento alla romana. Un giovane disoccupato viene invitato a una serata in pizzeria dagli amici e date le evidenti difficoltà economiche è tentato di rifiutare, ma poi contando su una semplice pizza e bevanda, accetta. Alla serata si decide il pagamento alla romana, ovvero si prende l’importo totale e lo si divide in parti uguali fra i partecipanti così ci sarà chi pagherà di più di quanto mangiato e chi pagherà di meno rispetto a quanto consumato. Tutto procede per il meglio fino a quando uno degli amici decide di ordinare una bistecca piuttosto di una pizza perché il giorno prima era già stato in pizzeria. A quel punto il giovane disoccupato pensa di dover finanziare la bistecca dell’amico e così decide di ordinare qualcosa in più e da lì si scatena una corsa a chi ordina di più fra gli amici per evitare di essere quello che ha speso di più e mangiato di meno. Per il disoccupato la serata si trasforma in un danno economico non indifferente. Ovviamente la storiella era raccontata in dialetto e molto più divertente di come l’ho riassunta qui, ma ci permette di spiegare alcuni meccanismi della spesa pubblica.

Il problema del pagamento alla romana è la mancanza di corrispondenza tra ciò che si mangia e quanto si spende ed è ciò che succede con la spesa pubblica e le imposte. Attualmente in Italia tutti in qualche modo pagano le tasse, si pensi alla benzina che anche l’evasore paga e tutti usufruiscono di qualche servizio statale a partire dalla sicurezza o la sanità che sono universali. In tutto questo incastrarsi di dare e avere fra cittadino e Stato non esiste corrispondenza fra quanto si spende e quanto si riceve non solo in termini assoluti, ma anche perché si paga per servizi che non si usufruisce e non si paga per servizi che invece si usufruisce.

In questa girandola di entrate e uscite è evidente la somiglianza con il pagamento alla romana in cui si sa per certo che si pagherà qualcosa non proporzionata a ciò che si usufruisce e pertanto si è incentivati a prendere il più possibile. L’attuale politica dei bonus ne è un esempio lampante: non interessa il costo complessivo per il bilancio statale, ma il fatto di risultarne beneficiari. Dall’azienda che utilizza il bonus 110 al disoccupato che prende il reddito di cittadinanza è tutta una corsa ad incassare soldi dallo Stato tanto sarà qualcun altro a sostenerne i costi. Dopotutto se non si riesce in qualche modo ad intercettare risorse dallo Stato è chiaro che si finirà nel gruppo di chi paga senza avere benefici.

Questo meccanismo perverso spinge ogni gruppo organizzato a chiedere soldi allo Stato nella convinzione che se non si riesce a ritagliare un qualche sovvenzione sarà qualche altro gruppo ad ottenerla. Una sorta di gara a chi ottiene di più a danno di quei cittadini che non appartengono a un gruppo organizzato capace di intercettare risorse pubbliche. Fintanto che le imposte saranno sganciate dalle prestazioni statali il meccanismo non potrà che essere quello di cercare di intercettare più risorse pubbliche possibili. Si potrebbe obiettare che in ogni caso ci deve essere qualcuno che paga per chi ha meno, e questo è ovvio, ma per esempio i bonus edilizi non vanno solo ai poveri essendo universali e in ogni caso si potrebbero creare dei meccanismi in cui la prestazione statali sia ancorata a una qualche forma di contribuzione. Un primo passo avanti sarebbe l’abolizione dei vari bonus, agevolazioni fiscali e regimi fiscali differenziati. Un sistema fiscale semplice già eliminerebbe parte di questo meccanismo perverso di attaccamento alla mammella statale.

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