Il falso mito del salario minimo

Continua l’abbaglio ideologico sul salario minimo perché il problema è avere prima di tutto un salario certo e quindi la tipologia contrattuale con cui si viene assunti.

È più povero e a rischio di instabilità sociale chi guadagna di meno ma ha un contratto a tempo indeterminato oppure chi guadagna temporaneamente anche di più ma ha un contratto atipico e a tempo determinato? Questo è il quesito da risolvere e poi potremmo affrontare dalla giusta prospettiva il problema salariale. Senza dimenticare chi guadagna poco e ha un contratto a tempo determinato. Se questo è il quesito su cui resto convinto che per un giovane l’investimento sulla sua vita futura sia dato da un guadagno certo, anche con una partenza salariale bassa, ma con prospettiva di crescita, piuttosto che l’incertezza del salario nel tempo e quindi l’incertezza della tipologia contrattuale.

Partiamo poi anche da un’altra prospettiva seppure considerando le indicazioni della Direttiva UE per cui l’obbligo di stabilire soglie minime di salario vanno effettuate nei Paesi in cui la copertura da Contrattazione collettiva sia inferiore all’80%. L’Italia è ampiamente sopra questa soglia quindi non esiste obbligo di Legge ma serve che le parti sociali lavorino a migliorare le soglie minime contrattuali. Quindi agendo sull’elevare i minimi contrattuali dei livelli più bassi.

Allora se l’impostazione fosse questa vediamo i dati cosa ci dicono. A fine 2021 Il totale degli occupati è di 23 milioni circa di cui oltre 5 milioni autonomi. Su un totale di lavoratori dipendenti di 17.864.078, i contratti a tempo indeterminato sono 14.836.012 (l’83%), mentre quelli a tempo determinato sono 3.028.066 (il 17%).

L’andamento periodo 1992-2021 dei contratti a tempo indeterminato, che sono la larga maggioranza, è simile a quello dei contratti totali. Una discrepanza più significativa la si nota negli ultimi anni, con una tendenza a crescere presente ma meno marcata. Tale differenza rispetto all’andamento totale deriva da una crescita dei contratti a tempodeterminato, in particolare nel biennio 2016-17. Tale tipo di contratti mostra comunque una lenta crescita in quasi tutto il periodo considerato.

Possiamo dire che dal 2008 la crescita dei lavoratori dipendenti deriva esclusivamente da contratti a tempo determinato, visto che quelli a tempo indeterminato da allora non sono cresciuti. Il lavoro autonomo nel periodo 1992-2021 è passato da quasi il 30% sul totale occupati al 20%. Risulta anche evidente la crescita del lavoro dipendente rispetto a quello autonomo. Consideriamo anche che i rider sono circa 60mila in Italia

Quindi se partiamo dalla tipologia contrattuale abbiamo un problema legato a circa 3 milioni di lavoratori perché non vorrei che in questo slancio borghese e radical chic di eliminare i poveri per legge intervenendo sul salario minimo si continuasse a lasciare precari i precari. Mentre se fatti conti della mediana salariale derivante dal Contratti collettivi il salario minimo si aggirerebbe sui 9 euro lordi l’ora. Stime dicono che ci sono 4,6 milioni di lavoratori con un contratto a tempo indeterminato/tempo determinato che percepiscono meno di 9 euro: si tratta di meno del 30% del totale, del 26% di quelli privati, del 35% degli operai agricoli e del 90% dei lavoratori domestici.

Ecco questo è il punto: quei 4,6 milioni la stragrande maggioranza ha un contratto fisso che garantisce un salario nel tempo e quindi una prospettiva di progetto di vita. Al netto che abbiamo un problema salariale complessivamente basso per tutti in Italia.

Escluderei i lavoratori domestici, il cui datore di lavoro sono le famiglie bisognose di assistenza per un parente degente in casa e l’applicazione del salario minimo inciderebbe su una fascia sociale già in difficoltà. Questo mi fa pensare che i dati siano elaborati da un residente alla Crocetta o della collina che si affaccia sul Po.

A chi vuole realizzare il salario minimo per Legge basta fargli una domanda: cosa ne pensano le controparti? Perché se non consideriamo questo e i costi che le imprese devono accollarsi non dovremmo fare i sindacalisti o i politici ma stare seduti al bar, oppure aderire ai pentastellati. Comunque un contributo di risorse potrebbe scaturire da un forte ridimensionamento e irrigidimento dei criteri di accesso alle poltrone e ai sofà del reddito di cittadinanza.

Perciò ancora una volta diventa fondamentale il ruolo delle parti sociali, maggiormente rappresentative così come dicono i dati statistici della rappresentatività sindacale derivante dai codici uniemens dell’Inps, concordare attraverso la contrattazione la definizione della questione salariale e al Governo recepire l’esito di un Patto Sociale che diventi a quel punto triangolare.

Così si eliminerebbero i contratti pirata come quello firmato dall’Ugl per i rider e tutti i contratti firmati da sindacati e associazioni datoriali minoritarie.

Allora partiamo da due assunti fondamentali come il fatto che un salario fisso può sempre crescere con la contrattazione e quindi orientiamoci a ridurre le tipologie contrattuali precarie per garantire prima di tutto un salario duraturo, poi sempre attraverso la contrattazione tra le parti facciamo crescere i salari complessivamente a partire da quelli più bassi, sempre con un occhio rivolto a professionalità e competenze dei livelli più alti.

Con buona pace di chi vuole normare per legge il salario minimo, a costoro ci penserà l’elettorato quando nel 2023 andremo alle urne.

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