Volontà popolare e giochi di Palazzo

Il nostro ordinamento prevede che i cittadini possano partecipare alla vita politica del Paese sia eleggendo i propri rappresentanti in Parlamento, che tramite le consultazioni referendarie. La Costituzione norma la possibilità di chiamare alle urne gli aventi diritti al voto per esprimere il proprio parere nel Referendum abrogativo, disciplinato dall' articolo 75 della Carta e volto ad abrogare in tutto o in parte una legge ordinaria o un atto avente forza di legge, così come in quello previsto invece dall' art. 132, previsto per decidere sulla fusione o creazione di Regioni.

Infine, gli italiani possono dare un parere vincolante tramite il Referendum costituzionale confermativo, che è parte del procedimento di formazione delle leggi fondamentali, come previsto dall'art. 138 della Costituzione. Il secondo comma di tale articolo stabilisce che tali leggi, qualora non siano approvate al secondo passaggio con una maggioranza dei due terzi dei componenti in ciascuna delle due Camere, vengano sottoposte a Referendum popolare quando ne facciano domanda un quinto di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

Domenica prossima si vota per eleggere alcune amministrazioni comunali e per tracciare un segno su cinque quesiti abrogativi, ex art. 75 della Costituzione, indetti con Decreto del Presidente della Repubblica del 6 aprile scorso. Atto firmato in seguito alla richiesta dei Consigli di nove Regioni, governate da maggioranze di Centrodestra. Sono davvero pochi i cittadini che abbiano compreso i temi su cui saranno invitati a prendere posizione. Probabilmente chi ha acquisito nozioni, su quanto dovrà votare, lo ha fatto solo dopo aver recepito slogan elementari oppure grazie agli spot lampo mandati in onda dai canali Rai.

Gli esperti e i militanti attenti sono gli unici in grado di farsi un’idea sugli argomenti oggetto della consultazione popolare. Tutti gli altri avranno due possibili scelte: votare affidandosi al partito a cui si dà la propria simpatia, oppure non andare al seggio, così da non far raggiungere il 50% più uno dei votanti: il numero minimo perché il Referendum non sia dichiarato nullo.

Quattro dei cinque quesiti interessano le misure cautelari e la magistratura, su cui le forze referendarie avanzano l’antica richiesta berlusconiana di separarne le carriere, mentre uno riguarda l’interdizione dei pubblici uffici a coloro che riportano una condanna per fatti non colposi. Quest’ultimo propone un vero e proprio stravolgimento della riforma Severino, quindi del decreto attuativo dell’art. 54 della Costituzione, secondo il quale: “I cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di esercitarle con disciplina ed onore”.

L’istituto del Referendum ha avuto in passato un ruolo fondamentale nel permettere all’Italia di progredire sul fronte dei diritti civili. Vengono in mente, a tal proposito, le grandi battaglie tra il No e il Sì all’abrogazione della Legge sul divorzio, quelle sulla normativa che riconosceva per la prima volta il diritto di aborto, i confronti durissimi sull’energia nucleare e quelli sull’acqua bene comune o privato: quesiti da cui sono scaturiti scontri politici epocali e mobilitazioni di massa che hanno riempito le piazze.

Negli ultimi decenni, la consultazione referendaria è stata brandita per portare a buon fine alcuni regolamenti di conti interni ai palazzi di potere. Mario Segni è stato tra i primi a trasformare il parere popolare in un atto strumentale alla devastazione della Costituzione. Altre forze politiche hanno proseguito la sua opera, proponendo ai cittadini quesiti spesso incomprensibili, nonché disorientanti pure negli effetti pratici derivanti dalla vittoria di una delle due ipotesi, del Sì o del No.

Da anni le persone non si animano più di fronte alla convocazione referendaria, non discutono, non ne parlano al bar prendendo il caffè, e tantomeno sfilano in strada a sostegno dell’abrogazione o meno di una legge. E’ sparita anche la tensione mediatica, in televisione non si discute, e gli opinionisti non si confrontano con foga sui Referendum del 12 giugno prossimo.

Il Referendum è nato quale mezzo di democrazia partecipata, diretta. Uno strumento utile ai cittadini per prendere parte alle decisioni più importanti della vita politica nazionale, vedi referendum sulla monarchia. Da qualche tempo, purtroppo, è raro che siano i cittadini a organizzare e proporre il voto su temi importanti della vita quotidiana, per l’appunto divorzio, aborto, acqua pubblica e nucleare, lasciando così il monopolio della proposta ai giochi politici parlamentari e alle burocrazie interne ai partiti.

L’eventuale fallimento dell’appuntamento con il prossimo Referendum, per non raggiungimento del quorum, sarebbe l’ennesima prova dello scollamento esistente tra la gente e le istituzioni repubblicane. Un possibile aumento della distanza tra i cittadini e chi li coinvolge solamente quando gli fa comodo: a proprio uso e consumo. 

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