E noi stiamo a guardare

“E le stelle stanno a guardare”. Joseph Cronin titolava così il suo romanzo sull’Inghilterra, ambientato nel primo trentennio del XX secolo, con lo sfondo di contrasti sociali, crisi politiche, disastri minerari, Prima guerra mondiale. Raccolto su quel che stavo per scrivere, non sono riuscito ad allontanarmi da quel titolo, commettendo così un evidente e voluto plagio. Le turbolenze di quei decenni scorrevano su una certa assuefazione popolare: i minatori morivano in tanti, ma bisognava pur lavorare, altrettanto i soldati, ma bisognava pur difendersi dagli Imperi centrali. In effetti, la storia dell’umanità ha seguito quasi sempre il volano del bisogno, presentato come nobile, impellente e quasi sempre avvertito con ritardo, fuori tempo per consentire rimedi o percorsi alternativi.

Data la premessa, veniamo al nostro ragionamento che muove da un’asserzione. Il pianeta è, di fatto, super armato. Nel mondo, a fronte di 198 tra nazioni e minuscoli stati, 174 dispongono di Forze Armate nella maggior parte dei casi membri di varie alleanze, tutte dichiaratamente difensive. Di fatto, siamo a una saturazione degli apparati militari, mai così tanti da quando la Terra ospita tanti pacifisti, una costante questa, mai tanto inquinamento da quando ospitiamo tanti ambientalisti e si potrebbe continuare.

Partiamo dalla Nato, con l'adesione di Svezia e Finlandia raggruppa 32 Paesi di cui 29 europei, il continente ne conta 42, ne restano esclusi solo 13, tra cui: Andorra, Bosnia-Erzegovina, Cipro, Città del Vaticano, Liechtenstein, Malta, Monaco, San Marino, Svizzera, e se aggiungessimo i quattro con apparato militare, Austria, Irlanda, Serbia e Ucraina, la Nato disporrebbe della totalità delle Forze Armate europee.

Poiché il conflitto Russia-Ucraina finirà, occorrerebbe chiedersi a chi dovrà opporsi questo impressionante apparato militare, la risposta è ovvia, alla Russia. Per i prossimi decenni, di conseguenza, l’Europa vivrà uno stato di tensione permanente.

Portiamoci avanti nel ragionamento e chiediamoci perché l’intero pianeta è in una condizione di perenne preallarme, ancora ovvia anche questa risposta. Dalla fine del bipolarismo si è avviata una competizione Usa-Cina che fino all’inizio del nuovo secolo non ha preoccupato più di tanto la dirigenza americana. Poi, la continua crescita economica e tecnologica, l’esplosione urbanistica con l’innalzamento del tenore di vita dei cinesi, il veloce rafforzamento delle loro Forze Armate – da una settimana hanno varato la terza portaerei in grado di competere con quelle americane – la conclusione della terza missione per la costruzione di una stazione spaziale, insomma un costante progresso che accresce un’inarrestabile frizione.

Ma si compete per cosa, per quale fine ultimo? Per la leadership strategica globaleed è per quest’obiettivo che il pianeta si arma sempre più e acuisce, per chi la vuol vedere, la sua bipolare divisione. Si rafforzano storiche alleanze statunitensi, la Cina ne avvia numerose nel Pacifico, nel Sud est asiatico, in Africa e da Gibuti alla Cambogia dal golfo del Siam alla Guinea, costruisce basi militari. Su 55 Paesi africani i cinesi, a vario titolo, sono presenti in 51. Il contrasto Nato-Russia è del tutto secondario, subordinato e funzionale a quello Usa-Cina che troverà il suo detonatore nel futuro di Taiwan. La definizione della leadership globale, infatti, passerà dall’esito della criticità legata al destino della grande isola del Pacifico.

Se queste considerazioni hanno fondamento, spiegano, allora, anche la corsa agli armamenti e alle alleanze. Nel suo rapporto annuale sul disarmo, l’Istituto svedese Stockholm International rende noto che il rischio di un ricorso alle armi nucleari è maggiore oggi rispetto ai momenti più difficili della Guerra Fredda e che la tendenza a ridurre gli arsenali nucleari è finita. Nel prossimo decennio, gli arsenali dovrebbero crescere così come gli stati in possesso di armi nucleari e, allora, come non vedere che con i prossimi belligeranti il pianeta conoscerà grandi, pericolosissime, instabilità. Il tutto perché l’umanità, nel suo insieme, è soggetta a partecipare alla lotta per la leadership strategica globale tra due superpotenze.

E noi? Intendendo sia i pochi che si affannano a interpretare questo futuro, sia la maggioranza che abbeverata all’informazione partigiana si disperde in mille inconsistenti rivoli interpretativi, sia le fresche generazioni che combattono altre battaglie sui canali predisposti per parcellizzare contenuti falsamente culturali e lontanamente esistenziali. Quanta ragione aveva Karl Popper nel 1994 scrivendo che “Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione”. E non aveva conosciuto i Social.

Allora, noi? Come le stelle, stiamo a guardare. Ma chi l’ha detto che l’Umanità, giunta a questo stadio di concentrazione politica e militare, ha bisogno di un’unica leadership? Non è un’indicazione del pensiero politico né un precetto laico o religioso, è solo una consuetudine: è sempre accaduto che il più forte abbia piegato il più debole, ma così non dovrebbe essere in questa fase.

La prosperità delle persone dipende dalla loro diligenza; con la diligenza non c’è povertà, proverbio cinese vecchio di 2000 anni, di sapore liberale, citato dal presidente Xi Jinping.

Da seguire, se si potesse, ma dove la s’incrocia una dirigenza europea capace di rincorrere un’utopia? Dove lo s'incrocia un Ministro degli Esteri italiano capace almeno di comprendere? Dove s'incontrano efficaci organizzazioni internazionali tali da sostituire Onu, Oms, Fao e un centinaio di Agenzie preposte maldestramente al bene dell’Umanità? Potremmo continuare chiedendoci di religioni, accademie, sistemi informativi, finanza e personaggi alla Soros, di Davos e degli intellettuali del Grande Reset. Li troveremo tutti intenti a spendersi per il nobile bene comune. Noi continueremo a seguire il derby Usa-Cina, augurandoci un dopo Formosa che ci consenta, almeno, di stare a guardare le stelle.

*Vincenzo Olita, direttore Società Libera

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