Diocesi in mano ai "boariniani", ora tocca al seminario
Eusebio Episcopo 07:00 Domenica 26 Giugno 2022Il cerchio magico dell'arcivescovo Repole occupa tutte le caselle strategiche della curia. Per la formazione dei futuri preti si pensa al biblista don Galvagno. E prossimamente verrà presentato il piano "hard" di riorganizzazione con l'accorpamento di molte parrocchie
L’arcivescovo di Torino Roberto Repole ha indirizzato alla diocesi una lettera in cui annuncia la «sfida importante» di grandi cambiamenti. È evidente che il “cerchio magico” aveva preparato tutte le mosse da tempo, ma stupisce come il gruppo di comando installatosi in Curia voglia procedere veloce in quello che viene designato come il «ripensamento della presenza ecclesiale sul territorio». Sono processi e terminologie che nei Paesi d’Oltralpe vengono messi in atto ormai da più di venticinque anni, da noi arrivano solo adesso ma è tutto un déjà vu, tanto che i vescovi francesi sono notoriamente conosciuti come i «curatori fallimentari» o anche i becchini delle diocesi. Si parte, naturalmente, dalla constatazione della fine del «regime di cristianità», termine che, ovviamente, viene presentato sempre in accezione negativa, per arrivare poi alle parole d’ordine, anche queste per chi conosce il clericalese, abbastanza trite: discernimento, opportunità, ricerca, ascolto, cammini, etc. per giungere infine ad ipotizzare «modi nuovi di essere Chiesa» attraverso «percorsi sperimentali». Il traguardo è quello di «rivedere alcune forme della Chiesa». E cioè ad accorpare e a sopprimere parrocchie per le quali è diventato impossibile provvedere alla nomina dei parroci. Si parla anche – e questo suona un po’ inquietante – di «rinsaldare o creare delle strutture di corresponsabilità, che siano l’espressione della vita reale sul territorio».
Siamo quasi certi che il ridisegno delle nuove parrocchie sia già stato partorito e pensato nella mente di qualche regista, si tratta solo di farlo digerire, ma qui si metterà in moto la congerie dei cosiddetti organismi di partecipazione. Tuttavia, dati i canoni correnti e data la drammatica situazione del clero, il passo era quasi obbligato. Arriveranno nelle canoniche le equipe dei “laici adulti”, naturalmente “ben formati”? C’è soltanto da sperare che il raggiungimento dell’obiettivo non lasci sul campo troppi feriti e non tramuti la diocesi – più di quanto non lo sia già adesso – in una cittadella del pensiero unico.
Ci è stata chiesta da molti lettori una prima impressione sullo stile omiletico del nuovo arcivescovo e bisogna ammettere che, pur accogliendo in pieno gli stilemi della modernità esso – visti certi suoi confratelli! – non è untuoso ma sempre rispettoso nel porre domande e questioni. Alcuni concetti poi, siano progressisti o conservatori, vengono elegantemente accarezzati per non turbare troppo il sempre più variegato uditorio. Rispetto ai toni monocordi e clerical-populisti del recente passato, anche questo è un bel cambio. Così la sua dotta omelia in duomo per la festa di San Giovanni Battista, oltre ai consueti richiami di carattere sociale, non ha dimenticato il tema della vita puntando il dito contro la denatalità che sta desertificando le nostre società rendendole sempre più egoiste ed asfittiche. Ma, soprattutto, monsignor Repole ha affermato che: «La nostra vita è veramente nuova, anche dentro questo mondo, nella misura in cui siamo decentrati da noi e siamo, invece, concentrati su Cristo e invitiamo tutti gli uomini, credenti e non credenti, a riconoscere che siamo tanto più noi stessi, quanto più entriamo in relazione con Cristo, l’unico salvatore del mondo». Parole semplici, inequivocabili e che, ovviamente, non hanno avuto eco nei media. Oremus pro antistite nostro Roberto…
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Nominato in tempi di record il consiglio episcopale e il cancelliere, messo in moto il processo di ridisegno delle parrocchie, l’arcivescovo deve adesso riempire una importante casella dell’organigramma diocesano, quello di rettore del seminario. Si tratta di una posizione fondamentale perché attiene alla formazione dei futuri preti e cioè al futuro della Chiesa locale. Non è un segreto per nessuno che l’attuale rettore, don Ferruccio Ceragioli, ha da tempo espresso il desiderio di essere sostituito nell’incarico dopo aver compiuto la missione della “normalizzazione” del seminario dagli influssi perniciosi delle ordinazioni del 2013 che ancora adesso i benpensanti progressisti – preti e laici – deprecano come la fonte di tutti i mali. Alcuni di quei giovani sacerdoti ricordano ancora che furono definiti da autorevoli ecclesiastici – tra questi un vescovo! – come il «cancro» della diocesi. Tale «maligna tendenza» – cioè quella tradizionale – è stata estirpata, adesso si tratta di formare il «nuovo prete». Il cerchio magico boariniano non si farà sfuggire – come ha fatto finora per tutte le altre – l’occupazione dell’importante casella. In questo modo si può dire così che il “cerchio si chiude”. Voci interne fanno trapelare il nome di don Germano Galvagno, classe 1968, ordinato nel 1993, biblista competente e stimato, apprezzato docente alla facoltà teologica, direttore dell’Issr (Istituto superiore di scienze religiose), nonché uno degli esponenti di rilievo del gruppo. In quanto deputato alla formazione dei giovani preti, egli si è fatto la fama – meritata o meno – dell’inquisitore, o comunque del vigilante, di colui cioè che individua le tendenze di ognuno e le classifica scoprendo poi chi si allontana dal paradigma progressista che si può riassumere in pochi assunti: Sola Scriptura sufficit, messa tra parentesi – o interpretata nei modi più svariati – dell’ininterrotta e bimillenaria Tradizione, per non parlare del Magistero, salvo che non sia quello del pontefice regnante, accolto alla sua elezione come una liberazione. Ci è stato riferito che il suo approccio alla carestia delle vocazioni è quello per cui essa rappresenta – come per altri suoi confratelli – non un drammatico problema ma, similmente alle chiese deserte e ai seminari vuoti, una bella «opportunità». Meglio pochissimi, ma buoni e fidati, se poi qualche aspirante prete recitasse troppi rosari o sostasse troppo in adorazione…
Viene presentato in questi giorni un interessante volume ove si tratteggia l’innovativa e pionieristica esperienza del seminario regionale delle vocazioni adulte (1967-1984). Il suo autore è l’ex vescovo di Aosta, monsignor Giuseppe Anfossi, che ne fu rettore. Avremo modo di parlarne. Intanto, sono passati quarant’anni dall’alienazione – avvenuta nel 1982 – del grandioso seminario di Rivoli, chiuso nel 1974, voluto fortemente da papa Pio XI e che impegnò tutte le energie del lungo episcopato del cardinale Maurilio Fossati. Inaugurato nel 1949, in esso si formarono generazioni di preti – quelli delle ordinazioni numerose – e che ancora recentemente hanno costituito le colonne del clero diocesano. La chiusura del seminario avvenne all’apice della crisi post-conciliare con la caduta verticale delle vocazioni e le numerose defezioni dal sacerdozio e rappresentò – secondo uno storico non conformista – «il simbolo di un sogno realizzato e di una sconfitta».