GRANA PADANA

La Lega ha perso. Il Nord

Una disfatta, in Piemonte e a livello nazionale. Il segretario Molinari condivide con il Capitano la sconfitta nella sua città consegnata a un esponente Pd delle seconde file. Cresce il malcontento ma non ancora la fronda. Un voto che è una pesante ipoteca sulle Regionali

E adesso? Dopo una sconfitta che neppure gli avversari immaginavano di questa portata, cosa succederà nella Lega? Perché non può non succedere nulla. Mal comune mezzo gaudio non funziona nel partito il cui capo ha buttato via il Nord dal simbolo come fosse acqua sporca e gli elettori il bambino. 

Al ballottaggio in Piemonte gli unici due Comuni non conquistati dal centrosinistra saranno guidati uno, Savigliano, da Antonello Portera un ex grillino passato al civismo e l’altro, Acqui Terme dal civico Danilo Rapetti, ovvero colui che sarebbe stato il naturale candidato del centrodestra e che invece la coalizione sotto le pressioni di Forza Italia non lo ha voluto riuscendo a evitare che anche un solo sindaco leghista (Rapetti è ancora iscritto) la spuntasse. Questo per dire cosa sta succedendo nella forza politica un tempo egemone che perde perfino ad Omegna, con il fiasco dell’uscente Paolo Marchioni, nonostante il padrinaggio del capogruppo in Regione Alberto Preioni e del senatore Enrico Montani. Un duo che negli anni ha inanellato una serie di brillanti risultati, da palmarès: Verbania, con il candidato sindaco Giandomenico Albertella che dopo poco saluta tutti e passa in maggioranza; Domodossola, dove la designata (imposta) sindaca Maria Elena Gandolfi porta la Lega al 4%, e ora Omegna.

Mal comune mezzo gaudio non funziona tantomeno ad Alessandria dove la sconfitta ha il volto, non tanto e non solo dell’ormai ex sindaco Gianfranco Cuttica, bensì di Riccardo Molinari. L’aver perso ovunque non sminuisce la débâcle casalinga del capogruppo alla Camera, in questo caso chiamato in causa non meno dal suo ulteriore ruolo di segretario regionale. È vero che Matteo Salvini ad Alessandria è andato ben due volte (quasi tre ckntando la puntata nella vicina Fubine). Per spronare i suoi, soprattutto dopo il primo turno, oppure sollecitato con la malcelata intenzione di dividere la responsabilità dell’annusata sconfitta? 

Sconfitta, peraltro, inflitta da un centrosinistra che non ha avuto bisogno (o non ne ha avuto la possibilità) di mettere in campo pezzi da novanta per fronteggiare e avere ragione di esponenti del centrodestra in sella. Non è un mistero che ad Alessandria, luogo in cui più cocente è il risultato per Lega e soci, nel Pd all'avvio della campagna elettorale la speranza di farcela era un atto gramsciano da ottimisti della volontà. Un passato da apprezzato assessore, Giorgio Abonante non si presentava come un trascinatore di folle e dentro il suo stesso partito c'era (e c'è) chi non ha apprezzato alcune sue posizioni un po' troppo radicali. I numeri (e la cabala) gli hanno dato ragione.

Sua, del Capitano, è comunque la responsabilità di aver perso una grossa parte del tradizionale elettorato del Nord lungo la strada nazionale su cui si è messo a inseguire Giorgia Meloni, senza dire di quanto i contrasti proprio con la leader di Fratelli d’Italia abbiamo pesato nelle urne, ancor più su quell’astensione arrivata a livelli altissimi. Ci sarà la più volte evocata resa dei conti nel partito in cui i mal di pancia ormai sono cronici, tanto da alimentare nostalgie bossiane che non vanno però confuse con concreti richiami a quell’autonomismo, quel federalismo, del vento del Nord trascurati da Salvini tra i mugugni sempre più percepibili persino nel suo inner circle? Una prima linea in cui ha prevalso finora la cieca obbedienza. Perché se Salvini ha preso la via sbagliata – e dal Nord è chiaro che gli è stato fatto capire col voto (o il non voto) – nessuno gli ha chiesto di correggere la rotta. E chi ha cercato di farlo si è rapidamente trovato ai margini, anche in Piemonte.

E adesso? Adesso il partito che raccoglieva le folle non può neppure invocare la massima di Pietro Nenni – piazze piene, urne vuote – perché manco più le piazze riempie. E il contrario non funziona. Al primo turno aveva già dovuto subire il sorpasso di FdI alimentando quel fronte interno che preme per l’uscita dal Governo. Ma c’è pure quella parte governista che potrebbe presto alzare la voce e imporre se non un cambio di leadership la creazione di un direttorio, una sorta di cordone sanitario attorno a un capo dimostratori inaffidabile, ondivago e alla fine elettoralmente perdente.

Adesso, dopo la sconfitta del centrodestra al ballottaggio, la stessa prospettiva delle regionali nel 2024 cambia, o comunque non è più quella che era fino a pochi giorni fa. Non è la sconfitta di Alessandria o di Omegna a dire che mantenere il governo del Piemonte sarà per il centrodestra un’impresa meno facile, ma è quel che succede nel centrodestra (dis)unito e soprattutto nel partito che aveva nel radicamento sul territorio la sua forza e che è andata persa. Sul fronte opposto il campo largo dove si sono perse le tracce dell’imploso M5Ss quella di tornare a riprendersi dopo città importanti anche la Regione è più di una legittima aspirazione. Nel mezzo ci sono le elezioni politiche. Prima nella Lega succederà qualcosa?

La logica direbbe che è inevitabile, così come è naturale pensare che nonostante l’azzardata (e non contestata, qui sta la colpa di molti quadri dirigenti) svolta nazionale impressa da Salvini, i segnali concreti dovrebbero arrivare proprio dal Nord. In Piemonte qualche mugugno, lestamente negato, si ripropone tra i capataz di un Carroccio da tempo arrancante. Dovendo scommettere, però, vien piuttosto da guardare a Nord Est. E anche questo è da tenere in conto guardando alla partita che si giocherà tra due anni per la Regione.

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