A proposito di malattie infantili

Era il maggio del 1920 quando Vladimir Lenin pubblicò un saggio che sarebbe entrato nella storia del comunismo, un lavoro che influenzò non poco il cammino della Terza Internazionale: “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”.

L’estremismo, in effetti, è una connotazione patologica che spesso ha caratterizzato movimenti rivoluzionari sia in fase di nascita che di affermazione: in quest’ultima annoveriamo anche maturi sistemi politici che, abbagliati dai propri risultati e dalle acquisite posizioni, ritengono di poter e dover osare per ulteriori traguardi. È il caso della Turchia di Erdogan, degli Usa di Biden, della Cina di Xi Jinping, non trascurando instabili sistemi come i talebani afghani o i nordcoreani di Kim Jong-un.

Un’ampia visione geopolitica, per gli affari esteri, porta i grandi Paesi a praticare un estremismo diplomatico e militare che assume, a tratti, veste imperiale.

Da qualche anno andiamo evidenziando la crisi, legata alla perdita di qualsivoglia visione strategica, di tre istituzioni: l’Onu, l’Ue e la Nato. Nulla è mutato per la prima se non l’evidente accentuazione della sua inefficacia, resa plateale dalla guerra in Ucraina, e dalla necessità di riconsiderare molte delle sue Agenzie: dalla Fao all’Oms, in profonde crisi di credibilità.

L’Ue, invece, vive un momento di buona visibilità, proprio grazie al conflitto in atto da cinque mesi. La vulgata è la straordinaria evidenza data all'unità politica dei 27, alla complessiva strategia per il sostegno all’Ucraina e per il superamento della crisi energetica, insomma, un vero modello di complessiva e unitaria resilienza: immancabile inservibile espressione, in cui tutto viene esaltato e magnificato, perfino un viaggio in treno di 3 leader politici è stato continuamente presentato come fatto storico che passerà alla storia. Sic!

Noi, invece, crediamo che sostanzialmente nulla sia cambiato.

L’europeismo resta una visione postmodernista, che non ha nessi con storia, tradizione e ancor più con l'identità dell'Europa; ha generato un’iperburocrazia con la creazione di un super-Stato, estraneo al pensiero politico occidentale.

Aperto alla mortificazione dell’individualismo, al politicamente corretto: insomma un rissoso condominio, ridotto a diritto ed economia, in cui latitano obiettivi e progettualità a meno che non siano economici-commerciali.    

Un pensiero facile, troppo facile, al punto di affascinare non molti, di coinvolgere se non gli interessati, di non scaldare il cuore di nessuno. Passato il dramma della guerra, si vedranno le crepe degli interessi contrapposti, dello smarrimento verso il futuro, del vassallaggio verso gli interessi statunitensi. La criticità della strategia politica della sua dirigenza, malgrado la benevolenza dell’informazione, è nei fatti, nei comportamenti da avanspettacolo, nelle banalità scenografiche, nell’inconsistenza di personalità quali: von der Leyen, Borrell, Dalli, Gentiloni, Johansson, Michel.

La Nato, su cui devo evidenziare la mia autocritica, data in via di estinzione nell’ultimo decennio, con funerale conclamato il 15 agosto 2021 a Kabul, è resuscitata. Miracolo! Doppio miracolo, considerata la contemporanea rinascita del presidente Biden. Divinità miracolante? La guerra in Ucraina.

L’Alleanza ha compattato tutti i Paesi partecipanti, Macron che nel novembre 2019 parlò di morte cerebrale, non ha fatto autocritica, ma è stato silenziato. Finlandia e Svezia avanzando richiesta d’adesione hanno portato a 29 i Paesi europei aderenti: in pratica una poderosa Cortina anti Russia. Tramontata così la velleità europeista di dotarsi di una propria difesa e di conseguenza di una politica estera, gli Stati Uniti hanno realizzato una coesione politica e militare con gli europei che non si riscontrava dall’ultimo ventennio del secolo.

Ma non era questo l’obiettivo principe dell'Amministrazione democratica, in effetti, resuscitare la Nato ha significato indirizzarla in funzione anti Russia per i prossimi accadimenti ma soprattutto coinvolgerla in nuovi scenari. È avvenuto a Madrid nelle scorse settimane, dove è stato adottato un nuovo concetto strategico: il Madrid strategic concept in cui si sostiene che essendo le minacce “globali e interconnesse” l’Alleanza dovrà disporre di più truppe di allerta rapida, che passeranno dalle attuali 40 mila alle 300 mila entro 7 anni, e di una difesa aerea più avanzata. In effetti, le forze Nato saranno integrate, con mezzi pre-posizionati, su cinque domini - terra, aria, mare, cyber e spazio.

La sicurezza euro-atlantica non è solo rapportabile alla nuova guerra fredda con Mosca, il nuovo strategic concept parla della Cina indicandola come una delle sfide future della Nato: una sfida sistemica ai nostri interessi, ha affermato il solito bellicoso Stoltenberg. Un’alleanza, quindi, non più difensiva dello scacchiere occidentale ma coinvolta in una contrapposizione globale, preoccupante per l'Umanità tutta.

Appena in maggio scrivevo di un Pianeta armato e agguerrito, non occorre essere veggente per comprendere verso quale futuro si avvia il mondo, evidentemente la malattia infantile dell’estremismo non è appannaggio solo del comunismo, è anche il frutto della non comprensione degli Stati Uniti della loro stessa politica estera.

Il riarmo e la strategia delle alleanze, naturalmente, non sono solo di pertinenza occidentale, altrimenti la pericolosità non sarebbe a questi livelli, la Cina e i suoi alleati muovono velocemente verso un riequilibrio di forze, e quindi verso una disputa per la leadership planetaria.

I leader europeisti hanno ben compreso, considerando la soddisfazione espressa dopo Madrid, su quale cammino hanno avviato questo continente? Certamente sì, non tutti hanno un ministro degli Esteri che in una lettera a Le Monde nel 2019 si richiamava alla millenaria democrazia della Francia, qui non è il caso di un infantile estremismo ma solo di uno spaesato infantilismo a cui, qualsiasi Nato vale bene una poltrona.

Del Pianeta continueremo a parte.

*Vincenzo Olita, direttore Società Libera

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