SACRO & PROFANO

Non c'è più religione, manco nell'arte sacra

"Una bruttezza mai vista, violata la sacralità del luogo": così Sgarbi boccia la statua collocata al santuario di Oropa. Ma ovunque scempi architettonici e "creatività" liturgica deturpano basiliche e cattedrali storiche. Il tabernacolo nel cassetto di don Ciotti

Una delle figure emergenti – nel senso che compare spesso sui media – è senza dubbio don Luca Peyron, classe 1973, ordinato nel 2007, amministratore parrocchiale  della Madonna di Pompei, responsabile della pastorale universitaria, assistente ecclesiastico della Fuci, ovviamente teologo e tante altre cose che si desumono dalla voce su  Wikipedia – secondo alcuni maligni da lui stesso redatta – dove si scopre che don Luca, rampollo dell’illustre famiglia torinese che diede alla città il sindaco Amedeo Peyron, «ha fondato e coordina dal 2019 il servizio per l’apostolato digitale della diocesi uno dei primi servizi a livello globale, si occupa della connessione tra digitale e fede, ha svolto un ruolo centrale nella candidatura di Torino quale Centro italiano per l’intelligenza artificiale poi assegnato dal governo alla città subalpina, scrive con regolarità sul Sole 24 Ore, l’HuffPost e ha interpretato una piccola parte nel film Fai bei sogni di Marco Bellocchio assumendo la veste di un sacerdote». Qualche anno fa un burlone scrisse sul suo profilo che, considerata la permanente autopromozione, era destinato a diventare il 101° successore di San Massimo. Pochi inoltre sanno che il pronipote per antonomasia è anche rettore della chiesa della SS. Trinità in via Garibaldi, perennemente chiusa.

Sembrerebbe che a margine del convegno torinese su “Privacy e virtualità” don Luca si sia lasciato andare a parole in libertà sugli allievi delle scuole cattoliche e sui suoi confratelli in talare. Da un fine intellettuale quale egli si qualifica, la cosa ha stupito non poco. Sarà prossimo a entrare negli agognati Promovenda?  

Circolano sulla rete ampi saggi e innumerevoli esempi delle devastazioni operate nelle chiese durante il post-concilio e ancora ultimamente. Con la scusa del cosiddetto «adeguamento liturgico», il patrimonio artistico e di pietà delle diocesi piemontesi – ma si può dire di tutto il mondo – è stato sfigurato e scempiato, spesso all’insaputa delle soprintendenze oppure, in alcune occasioni con la complicità delle stesse. A essere attaccate e snaturate sono state le cattedrali dove liturgisti-architetti hanno dato sfogo alle loro personali teorie. Gli antichi altari sono stati così ridotti – quando andava bene – a quinte insignificanti o a fondali dove collocare quello che viene definita la cattedra del vescovo. Un tempo entrando in chiesa si sapeva che al centro stava Gesù Sacramentato, oggi, quasi sempre vi campeggia un seggiolone o – come nel duomo di Torino – quello che fu definito il “trono del faraone”.

Esempi orribili di «adeguamenti» nella nostra regione sono la cattedrale di Alba voluta fortemente dal vescovo Sebastiano Dho con la chiara indicazione che l’altare non dovesse richiamare l’ara del sacrificio ma un semplice tavolo. Oggi esso appare come un triangolo rovesciato piantato al suolo come un meteorite e che la saggezza popolare ha già battezzato – nella patria della Nutella – “il cioccolatino”, sul quale sfolgora una illuminazione da discoteca, mentre l’antico splendido altare davanti al quale il beato Giacomo Alberione trascorse in preghiera la notte del 31 dicembre 1899 sino all’alba del nuovo secolo, assolve alle funzioni di proscenio per il coro. Anche a Biella il seggio vescovile ha come schienale l’antico altare e quello posto al centro del presbiterio ha meritato l’appellativo di “vasca da bagno”. A Cuneo la cattedrale sta per essere manomessa dal “vescovo-impresario” monsignor Piero Delbosco che ha sicuramente in tale incombenza dato il meglio di sé. Recentissimamente, il presbiterio del duomo di Vigevano è stato distrutto per collocarvi un blocco di pietra come altare e un orrido seggiolone come cattedra del vescovo e si potrebbe continuare.

Solitamente questi «adeguamenti», concepiti con furia ideologica, producono un innaturale rimpicciolimento delle navate e quindi una drastica diminuzione degli inginocchiatoi, allorché ancora ci siano, essendo tali arredi assai malvisti dai liturgisti e ovunque dove è possibile eliminati. In tal modo, si avrà così la sensazione – meglio l’illusione – che le cattedrali non siano – come sempre di più avviene – semivuote. Naturalmente sono solo alcuni esempi di horribilia di cui daremo conto. Si attendono segnalazioni. Intanto al santuario di Oropa è stata collocata una statua di Daniele Basso che Vittorio Sgarbi ha così commentato: «Quella roba è di una bruttezza mai vista. E quel che è peggio è stata violata la sacralità del luogo. Non c’è critica sull’artista ma sul contesto in cui lui si autocelebra». Il rettore del santuario mariano, tanto caro ai piemontesi, ha dato naturalmente il suo consenso alla mostra di Basso  perché «rappresenta un percorso di fede».

Uno dei blog più seguiti della composita galassia del tradizionalismo cattolico è senza dubbio Messa in Latino. Visitatissimo in Vaticano e in tutte le diocesi, sembra costituisca la prima lettura mattutina di cardinali, vescovi e preti, insieme al Sismografo, agenzia di stampa diretta da Luis Antonio Badilla, giornalista cileno di tendenza progressista, ma ultimamente autore di argomentati dissensi sulle scelte compiute da papa Francesco nel governo della Chiesa. Proprio su Messa in Latino venerdì scorso è comparso un post corredato di immagini sulla chiesa annessa all’ex convento della Certosa di Avigliana, diventata struttura ricettiva e di accoglienza, affidata al Gruppo Abele di don Luigi Ciotti. In essa, l’altare è costituito da un tavolo da cucina con piano di marmo, sul quale consumarono i loro pasti i primi malati di Aids della comunità. Com’è noto per la teologia progressista, la Santa Messa non ha valore sacrificale in cui Cristo anticipa sacramentalmente la propria passione e morte, ma è soltanto il memoriale di un “pasto d’addio”, un banchetto, quale fu appunto l’Ultima Cena. Per tale motivo all’altare tradizionale, magari di pregio, è da preferire un semplice tavolo, meglio ancora se, come nel caso, richiama il culto dell’uomo sofferente. Il fatto singolare del post è però che il SS. Sacramento, pur indicato dalla luce del cero, si trovi non in un luogo eminente o almeno degno ma… nel cassetto del tavolo da cucina, dove di solito si ripongono i tovaglioli e le stoviglie. Forse per evitare che a qualcuno venga in mente di sostare in adorazione, altra pratica questa assai sconsigliata. Naturalmente, il senso di reverenza che dovrebbe circondare la conservazione delle Specie Eucaristiche e che ha dato alla Chiesa nei secoli stuoli di santi e devoti, nonché prodotto capolavori d’arte, è praticamente scomparso. Del tutto negletto è quanto disposto dal canone 938: «Il tabernacolo nel quale si custodisce la Santissima Eucaristia, sia collocato in una parte della chiesa o dell’oratorio che sia distinta, visibile, ornata decorosamente, adatta alla preghiera». L’autore del post si chiede se l’arcivescovo assumerà dei provvedimenti, ma forse non sa che a Torino don Luigi Ciotti non è un prete qualsiasi. Tramontata la candidatura di Enzo Bianchi, se Torino tornerà ad avere un cardinale non sarà detto che il papa scelga proprio il fondatore del Gruppo Abele.

È in corso a Torino l’incontro europeo dei giovani guidati dalla comunità di Taizè evoluto fortemente dall’ex vescovo Cesare Nosiglia che era presente alla conferenza stampa di presentazione dell’evento. Ad essa è intervenuto brevemente il suo successore, mons. Roberto Repole, che ha offerto una piccola ma bella meditazione toccando alcuni temi: la possibilità che la Sindone offre ai giovani e a tutti per rimettersi in contatto con «il Gesù della storia» e per sapere che ci sono delle testimonianze che parlano di Lui, la stigmatizzazione – definita pura ignoranza – nel presentare Cristo nelle scuole come un sottoprodotto culturale, il mistero del male che spesso non si può scientificamente dominare e perciò la preghiera davanti al Sacro Lino perché ne siamo liberati ma anche guardati e quindi amati da Colui che ha dato la vita per la nostra salvezza.

Chi ha avuto la fortuna – e noi siamo fra questi – di aver conosciuto l’amabile e carismatica figura di Frère Roger Schutz (1915-2005) non ha potuto non esserne colpito. Senza dimenticare Max Thurian (1921-1987) anch’egli monaco della comunità interconfessionale fondata nel 1942 dal calvinista svizzero sulle colline della Borgogna, poi ordinato sacerdote cattolico, liturgista dimenticato e mai citato perché poco in linea con il pensiero dominante. Ambedue furono osservatori al Concilio, quello vero però, quello dei Padri e non quello dei media e l’ecumenismo da loro praticato era quello di vivere come fratelli di diverse confessioni nell’obbedienza profonda alle rispettive chiese, le quali non possono ancora condividere lo stesso calice, ma possono ben pregare insieme. A Taizè questo ciò era possibile. L’8 aprile del 2005, Frére Roger partecipava alle solenni esequie di papa Giovanni Paolo II e su una sedia a rotelle ricevette la comunione cattolica dalle mani del cardinale Ratzinger. Interrogato in proposito, il cardinale Kasper rispose: «Egli è formalmente cattolico». Pochi mesi dopo, il 16 agosto, durante la Giornata mondiale della gioventù con duemilacinquecento giovani, mentre l’assemblea cantava, una giovane donna si avvicinò a lui e lo pugnalò due volte al collo uccidendolo. Benedetto XVI – che lo conosceva bene – lo ricordò così: «Dovremmo ascoltarlo, ascoltare dal di dentro il suo ecumenismo vissuto spiritualmente e lasciarci condurre dalla sua testimonianza verso un ecumenismo interiorizzato e spirituale».

print_icon