TeleKabul e Istituto Luce

L’11 luglio è scomparso Angelo Guglielmi, giornalista di Paese Sera e fondatore, insieme a Edoardo Sanguinetti e Umberto Eco, del collettivo letterario neoavanguardista “Gruppo 63”. Guglielmi è passato alla storia grazie soprattutto alla sua nomina a direttore di Rai 3, avvenuta nel 1987. Sino a quell’anno, il terzo canale pubblico aveva indici di ascolto molto bassi ed era transitato da poco dal controllo democristiano a quello del Pci. Il suo arrivo ha coinciso con un grande, e inatteso, rilancio della rete.

Alcuni programmi in onda ancora oggi, come “Blob” e “Chi l’ha visto”, sono nati per merito del vigore innovativo mostrato dal nuovo direttore. Lo stesso telegiornale del terzo ha conosciuto un’importante stagione di informazione libera, e l’instancabile opera di Sandro Curzi, giornalista scelto da Guglielmi a dirigerne la redazione, ha letteralmente fatto la differenza.

Il Tg3, in quel suo periodo felice, venne ribattezzato “TeleKabul”, termine confezionato per dare all’opinione pubblica l’immagine di un telegiornale basato sul modello sovietico (l’Urss era da poco entrata militarmente in Afghanistan su richiesta del suo presidente socialista). In realtà il notiziario di Curzi era una voce fuori dal coro, l’unica, poiché non condizionata dai comunicati stampa del governo di turno. Un contenitore culturale frizzante e innovativo, che si ascoltava con golosità per sapere sempre qualcosa in più e per analizzare i fatti da una prospettiva diversa da quella “allineata”, usualmente adottata dalla Rai.

Sono passati molti anni dall’inaugurazione del laboratorio creativo del terzo canale, ma, usando quale termine di paragone l’attuale assetto delle tv pubblica, sembra di aver descritto sin qui un’epoca lontanissima, forse addirittura irreale.

Le recenti dimissioni del premier Draghi hanno rappresentato l’ennesima conferma del profondo malessere in cui vive oggi l’informazione italiana. In questi ultimi giorni, i telespettatori hanno subìto l’imposizione di una persistente cantilena: “Draghi non se ne deve andare, altrimenti sarà la nostra fine”. Su ogni canale Rai, così come su quelli nazionali privati, è stata sottolineata di continuo l’enorme preoccupazione di Washington e di Ursula von der Leyen per un’eventuale uscita di scena del nostro primo ministro. È stato dato anche uno straordinario risalto, in tutte le edizioni dei Tg, agli appelli di chi, sindaci e terzo settore (Arci inclusa), supplicava Draghi a ripensarci “per il bene dell’Italia”.

Escluse dai media le voci di dissenso. Neppure i commenti timidamente contrari al “pensiero unico” hanno trovato diritto di tribuna nei canali televisivi, e tantomeno sulle pagine dei principali quotidiani. Gli slogan “Non andartene” e “Conte irresponsabile” sono diventati veri e propri tormentoni, non opinabili, sino a far credere ai cittadini che tutti, ma proprio tutti, ritengano Draghi l’unica salvezza per l’Italia: agiografia priva di qualsiasi motivazione a suo sostegno.

Un’informazione che arriva ad accusare l’ex presidente Giuseppe Conte di essere al servizio di Mosca, costruendo un teorema assurdo e degno del peggior maccartismo del secolo scorso, dimostra tutta la sua faziosità. Pochi giornalisti hanno sentito la necessità di fornire al pubblico un resoconto oggettivo sul percorso che ha condotto il M5s a non votare la fiducia al governo, mentre nessuno ha narrato quale reale scenario politico ha generato il rinvio alle Camere del dimissionario presidente del Consiglio. Infine, i cittadini non hanno riscontro, al di là delle retorica, di cosa abbia davvero fatto l’ex banchiere a loro favore per generare tanto sconforto davanti alla sua uscita di scena, a parte schierarsi sul fronte bellico con un atteggiamento da guerrafondaio e aver portato l’inflazione (nonché le bollette energetiche) a livelli inediti.

Se la Rai di Guglielmi e Curzi era stata battezzata “TeleKabul”, quella attuale potrebbe essere paragonata all’Istituto Luce del ventennio in camicia nera. L’informazione martellante a senso unico, tipica di questi ultimi due anni, crea tuttavia saturazione e contraccolpi imprevedibili.

I nuovi padroni dell’informazione, coloro che aprono e chiudono i cancelli delle notizie, hanno dalla loro parte anche spezzoni della società civile che un tempo guardavano a Sinistra, come ad esempio l’Arci. Ha preso vita infatti un fenomeno davvero incomprensibile per i militanti, sempre più disorientati. Intellettuali della gauche invocano un fronte progressista senza pacifisti, e sostengono i nazionalisti ucraini, anziché la Pace, per non far salire a Palazzo Chigi quelli nostrani.

Il pubblico però usa il telecomando con maggior frequenza, e sono molti coloro che si indignano di fronte all’ennesimo reportage clamorosamente di parte. Il giochetto manipolatorio della volontà collettiva, attuato tramite notizie confezionate in spregio della verità, finirà quando gli elettori si desteranno dal torpore somministrato loro da tv e quotidiani. È questione di tempo, ma la sbronza da litania finirà. Il risveglio per molti italiani sarà doloroso, ma utile per salvare quel poco che resta di quella che ancora chiamano, con grande generosità, democrazia.

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