L'eredità di Marchionne

Quattro anni, dopo la scomparsa di Sergio Marchionne, sono un tempo sufficiente per capire il suo lascito e quanto hanno inciso le sue scelte radicali sia politiche che industriali, nonché finanziarie. Un dato è certo: se Marchionne non avesse portato la Fiat a essere Fca, oggi non ci sarebbe una Stellantis, nel senso che non ci sarebbero state le condizioni per Fca di costruire un’alleanza non solo europea ma mondiale. Quindi oggi dobbiamo domandarci dove sarebbe Fca a fronte di una crisi pandemica senza precedenti, un conflitto che sta bloccando l’economia mondiale e una crisi dei microchip che contribuisce a peggiorare, la già disastrosa situazione di mercato dell’automotive.

Certo ci sono anche limiti, come la scarsa propensione verso l’auto elettrica, ma oggi sicuramente Marchionne sarebbe schierato con chi ritiene che le scelte industriali non possono compromettere l’esistenza delle aziende e dei posti di lavoro a beneficio di una transizione verso l’elettrico dalle prospettive incerte e ad altissimo rischio, soprattutto nei tempi prospettati dall’Europa (unico mercato, peraltro, a imporre una deadline per i motori a induzione termica).

La nascita di Stellantis si poggia sul lavoro fatto da Marchionne e infatti lui stesso già auspicava e perseguiva un’ulteriore alleanza globale, al di là del “mai con i francesi”. Le basi sono state il rilancio di tutti gli stabilimenti, l’apertura di nuovi come Grugliasco, sebbene con vita breve; ma qui mi pare che sia i sindacati responsabili e partecipativi, sia quelli con opposizione abbagliante siano concordi. La chiusura di quelli irrecuperabili e il lancio di brand come Jeep, che ha consentito a Melfi alcuni anni di alta produzione, Maserati con gli impatti benefici su Mirafiori e la 500, su cui si è costruito la 500E, altro brand e lavoro per Mirafiori, sono stati la chiave di volta della rinascita.

Ha stentato Alfa Romeo (Cassino), ma nel complesso con la magistrale acquisizione di Chrysler, fallita, senza sganciare un tallero ma scambiando tecnologia, Marchionne ha dimostrato la sua genialità finanziaria abbinata all’industria. Questo è un grande pregio e insegnamento all’imprenditoria italiana che preferisce far soldi coi soldi e poi mandare un po’ di lobbysti in Parlamento a difendere i suoi interessi.

Anche dal punto di vista sindacale ha sparigliato le carte con la sua visione anglosassone: chi è il sindacato con più iscritti, ma con maggioranza relativa? La Fiom: ebbene spieghiamo il progetto a Rinaldini che disse non se ne parla. Ovviamente Marchionne non si scompose e così con i sindacati responsabili e partecipativi costruì il Ccsl e uscì da Confindustria che come la Fiom, non condivise il suo progetto che aveva una base semplice: non mi serve un Contratto nazionale generico ma un Contratto specifico dell’automotive per potermi misurare ad armi pari con la concorrenza, spietata. Peraltro, per i corti di memoria, il sindacato metalmeccanico era il più accanito sostenitore dei contratti di settore ma poi, si sa, si fa in fretta a dimenticare.

Anche nel campo delle relazioni industriali e sindacali Marchionne sparigliò le carte a fronte di una Confindustria, complice una parte del sindacato confederale, immobile da anni, sempre meno Conf-industria sempre più Conf-servizi. Con presidenti che arrivano dalle “fabbrichette” piuttosto che dalla grande impresa dove c’è una storia di relazioni sindacali. Chi scuote l’albero di solito fa cadere i frutti di scarto, o troppo maturi o marci, e furono in tanti a lamentarsi che cadevano dall’albero dove potevano, immobilmente, mimetizzarsi e stare appesi sino all’ultimo. D’altra parte siamo un Paese in cui appena uno emerge dalla mediocrità viene impallinato dalla moltitudine di mediocri. È appena successo in politica.

Mi pare che nelle grandi scelte industriali con i nuovi piani di Stellantis, a parte l’accentuazione dell’elettrico, si agisca in un’ottica ancora marchionniana: leggi i processi di integrazione produttivi e di processo per ridurre costi e standardizzare procedure e operazioni; oppure il fronte più spicciolo della vita quotidiana, del rapporto tra impresa e lavoratore, qualcuno già rimpiange il burbero abruzzese che sicuramente aveva un’attenzione maggiore agli stabilimenti italiani rispetto a chi c’è adesso.

Oggi Stellantis è meno Torinocentrica ma o siamo globali e usciamo dal provincialismo disfattista oppure ci avviamo sul viale del tramonto con tanta nostalgia e ricordi di quanto era bella la Torino industriale.

Si sta in Stellantis facendo sistema, dimostrando quanto questa Città Metropolitana con la sua formazione, il sistema istituzionale e politico, il sindacato, le imprese fanno rete per rafforzare un sistema dell’automotive capillare sul territorio comprendendo che oggi la filiera dell’auto non è solo più “fare i toc” ma va dall’intelligenza artificiale alla logistica, dalla filiera dei ricambi allo sviluppo in tutte le direzioni degli studi sulla propulsione dall’elettrico, all’endotermico, all’idrogeno.

Nella crisi bisogna rilanciare ampliando la filiera dell’automotive che oggi ha le condizioni per allungarsi anziché restringersi. Se facciamo ciò anche il terziario avrà lavoro: perché se pensiamo guardando il filo dell’orizzonte anziché la punta delle nostre scarpe anche le persone più deboli economicamente avranno una prospettiva di lavoro e futuro.

Arrivederci a settembre, buone vacanze!

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