REDDITI ONOREVOLI

Niente vitalizio ma Tfr e pensione: i conti in tasca ai parlamentari

Con le due Camere ormai sciolte, è tempo di bilanci. Nonostante la fine anticipata della legislatura, deputati e senatori avranno diritto sia al trattamento pensionistico sia all’assegno di fine mandato, pari all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità

A Camere sciolte e con le elezioni programmate per il prossimo 25 settembre, per i parlamentari è tempo di bilanci. Che prima ancora essere politici sono della finanza personale. In soldoni – è il caso di dirlo – tutti stanno facendo i conti, soprattutto coloro che temono di non riuscire a tornare nei rispettivi emicicli, Montecitorio o Palazzo Madama.

La riduzione del numero di deputati e senatori, che nel complesso passeranno da 945 a 600, rende infatti improbabile per molti una rielezione. Quindi in tanti si chiedono se avranno diritto alla pensione e all’assegno di fine mandato anche con una legislatura conclusasi anticipatamente. Un dubbio allarmante per alcuni, che proprio grazie all’incarico politico hanno visto incrementato (e non di poco) il reddito. La buona notizia è arrivata dagli uffici: i parlamentari al primo mandato hanno diritto alla pensione dopo quattro anni, sei mesi e un giorno di legislatura. Visto che questo termine verrà raggiunto il 24 settembre e che per allora l’attuale Parlamento sarà ancora in carica (il nuovo, infatti, con le elezioni fissate al 25, si insedierà probabilmente soltanto il 13 ottobre), parte degli attuali deputati e senatori potrà beneficiare del trattamento pensionistico. Una circostanza che, in particolare, interesserà la maggioranza delle due Camere, visto che i parlamentari di nuova nomina erano 427 su 630 (il 68%) alla Camera dei deputati e 234 su 315 (il 73%) al Senato.

Ma come funziona la pensione di un parlamentare? Innanzitutto, va detto che il trattamento da parte dell’Inps è previsto solo al compimento dei 65 anni di età ed è, soprattutto, di tipo contributivo, grazie alla riforma del 1° gennaio 2012 che ha uniformato il trattamento di deputati e senatori a quello del personale della Pa. Un provvedimento varato dal governo guidato d’allora premier Mario Monti. Una svolta rispetto al passato, quando spesso la pensione maturava anche dopo un solo giorno di legislatura, con calcoli che garantivano una somma molto superiore rispetto ai contributi versati. Quel sistema, che ha dato vita al termine “vitalizio”, oggi però non esiste più.

Chi dovesse essere rieletto deve sapere che il requisito anagrafico diminuisce di un anno sino al minimo inderogabile di 60 anni per ogni anno di mandato oltre il quinto. Poi c’è anche l’assegno di fine mandato: ciascun deputato versa mensilmente, in un apposito fondo, una quota della propria indennità lorda pari a 784,14 euro. Al termine dell’incarico parlamentare, il deputato riceve un assegno di fine mandato, molto simile a un comune Tfr, pari all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità, per ogni anno in cui è effettivamente rimasto in carica (non vengono considerati periodi inferiori ai sei mesi). Quindi il loro assegno farà riferimento agli effettivi quattro anni e sei mesi in cui sono rimasti in carica e si attesterà sui 50 mila euro.

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