Divertimento privato 

Quest’anno l’estate non perdona, e lo dimostra non solo con le temperature al di sopra della media stagionale, ma anche mettendo i cittadini brutalmente di fronte alla dura legge del Mercato. Una crudele presa di coscienza, facilitata dall’uso ossessivo dell’elettrodomestico più amato dagli italiani: la televisione.

Nello scorso mese di luglio, Mediaset, o meglio EI Towers, ha annunciato lo spegnimento di tutti quei ripetitori che interessano territori con meno di cinquecento utenti. Il reframing ha coinciso quindi con la riduzione a quattro dei canali fruibili dagli abitanti dei piccoli comuni alpini, costringendo residenti e villeggianti a dosi continue, e ciclopiche, di RaiNews.

I sindaci delle valli hanno definito “inaccettabile” tale decisione, mentre le Comunità Montane hanno evidenziato l’imbarazzo, con l’inizio della stagione turistica, dei proprietari delle seconde case, i quali riapriranno gli alloggi scoprendo che non potranno più vedere la televisione. Un numero impreciso di villeggianti sarà costretto ad abbandonare le pareti domestiche per non annoiarsi, e magari molti si riverseranno tra boschi e sentieri obbligando il proprio fisico a condurre un’esistenza sana.

È sicuramente un duro colpo quello derivante dallo scoprire che l’affettuosa Mediaset (dispensatrice di programmi ideati in particolare per soddisfare casalinghe e studenti che non amano la lettura dei manuali) in realtà concede al suo pubblico solo un’amicizia interessata. L’autostima dei telespettatori più fedeli rischia di andare davvero in frantumi, di fronte alla presa d’atto di essere dei semplici consumatori soggetti alle regole del profitto: crolla il mito dell’affetto a 24 pollici dato per pura generosità. Il cliente viene preso per mano e rassicurato sinché produce denaro, ma abbandonato a se stesso quando non rappresenta un dividendo da distribuire, oppure un vantaggio economico grazie alla messa in onda degli spot pubblicitari.

La privatizzazione del tempo libero, oltre che dei servizi essenziali, mostra il suo volto reale. Il cinismo del fare denaro si cela dietro a falsi propositi culturali, ad accoglienti serate trascorse tra una risata e qualche attimo di indignazione generato dall’opinionista preferito. L’industria del divertimento entra nelle case, quando le conviene, e occupa pezzi importanti del patrimonio pubblico poiché si nutre dei beni comuni, riducendoli a luoghi di consumo di massa.

Un esempio di spazio cittadino trasformato in fattore produttivo, in occasione di business, è il Parco Dora: un’importante area urbana degradata da tempo, e riconsegnata alla comunità tramite una laboriosa opera di riqualificazione. L’idillio tra la cittadinanza e il progetto di recupero è durato purtroppo poco. L’armonia si è incrinata a causa dell’ingresso in campo di un imprenditore a cui è stata affidata la manutenzione del Parco, in cambio della trasformazione dell’area in arena musicale.

Infatti, l’organizzazione del festival sonoro (a quanto riferiscono i quotidiani torinesi) ha trasformato anche quest’anno quella porzione di territorio in un’enorme superficie destinata a concerti, dove “I 2.550 watt dell’impianto di amplificazione sono andati a pieno volume (…) impressionano i dati indiretti, come le 250mila bottiglie di acqua e i 70mila fusti di birra consumati”. Di conseguenza l’organizzazione, con il bene placet del Comune, ha preso in carico il nuovo piano di riqualificazione del Parco Dora, realizzando la rinnovata pavimentazione della zona giochi (forse messa in crisi dai sondaggi nel terreno effettuati dai medesimi) e sostituendo i canestri da basket e le pancine rotte.

Per alcuni, gli ideatori del Kappa Festival hanno fatto di quella parte del quartiere una proprietà privata destinata alla produzione di divertimento, privatizzazione da cui derivano i patimenti di tanti cittadini, mentre per gli amministratori della Città si tratta di una semplice partnership di cui dovrebbe beneficiare la cura del luogo. Sta di fatto che oramai i residenti, al centro del progetto originario partecipato di riqualificazione, non hanno voce in capitolo, mentre le sorti del Parco sono nelle mani di chi ha saputo trarre profitto dall’opera di recupero realizzata con fondi pubblici.

Le palestre pubbliche spesso si trasformano in club esclusivi in seguito a concessioni poco attente ai bisogni dei settori maggiormente fragili, e al contempo le aree destinate all’aggregazione della comunità diventano accessibili solo dietro pagamento del regolare ticket. Una situazione di cui la politica sembra non voler prendere atto. Non stupisce allora leggere di istituzioni che propongono, tramite i loro amministratori, di usare i fondi del PNRR per dotare i villeggianti di antenne paraboliche, così da potersi risintonizzare su Mediaset grazie all’uso di risorse pubbliche; non sconcerta la scelta del Sindaco di Torino di abbassare la potenza dell’illuminazione pubblica per risparmiare nel pagamento delle bollette energetiche (a seguito dei rincari speculativi di luce e gas) con buona pace di chi vorrebbe vivere la città anche nelle ore serali.

È lontana qualsiasi ipotesi di nazionalizzazione delle risorse energetiche, è distante anni luce la difesa del patrimonio pubblico, è inimmaginabile un mercato retto sulla vera concorrenza poiché privo di insani rapporti di favore tra Pubblico e pochi fortunati imprenditori.

Così, mentre si valuta come rendere possibile mandare in onda nelle valli alpine “Uomini e Donne”, a Torino presto si vivrà l’emozione di passeggiare nel buio autunnale e poi in quello invernale calpestando qua e là qualche deiezione canina: tutto nel nome del libero mercato.

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