VERSO IL VOTO

Crisanti e tele-virologi candidati. "Ognuno faccia il suo mestiere"

Il sarcasmo dell'infettivologo Di Perri: "È come mettere Lionel Messi a preparare cocktail". Il cortocircuito tra esposizione mediatica, ambizioni professionali e decisioni politiche. "C'è una deriva abbastanza tangibile"

Non serve neppure il tampone. Il virus della politica creato in laboratorio, ovvero nelle segreterie dei partiti a caccia di consensi, si palesa con evidenza in buona parte di coloro che hanno studiato e combattuto quello del Covid. E se, per nei due anni della drammatica pandemia, è stato l’autunno il periodo della recrudescenza, il terzo che si approssima con la concreta speranza di non ripetere le precedenti esperienze sotto il profilo clinico segnerà quello politico con l’arrivo dei virologi in Parlamento, o comunque la corsa per entrarvi.

Il Pd schiera Andrea Crisanti, pur tenendolo lontano dai cosiddetti territori schierandolo nella circoscrizione estera Europa e lo scienziato il cui feeling con il governatore del Veneto Luca Zaia durò ben poco, rivela solo oggi di essere iscritto al partito da sette anni nel circolo di Londra. Sempre il partito di Enrico Letta prima inserisce, poi toglie (con le proteste di LeU) un altro virologo, Andrea Lopalco dalle liste della Puglia in cui lo scienziato, già assessore della giunta regionale di Michele Emiliano, sarebbe dovuto entrare in quota di Articolo Uno. Altri nomi, nell’attesa delle liste circolano e il più pesante è quello del primario del San Martino di Genova Matteo Bassetti, pronto a fare il ministro, se glielo chiedono, come dicevano i democristiani scalpitando per un posto in lista nella Prima Repubblica. E spunta pure, anche se smentita dal diretto interessato, la voce di una candidatura di Valter Ricciardi, da tempo legato ad Azione di Carlo Calenda.

Da presenze fisse nei talk show per più di due anni alla prospettiva di un lustro a Montecitorio o Palazzo Madama, corteggiati dalla politica o bramanti di esserlo, non sono pochi i volti e i nomi la cui notorietà è andata di pari passo con il numero dei contagi pronti a seguire orme e destini (spesso mediocri) di chi in altri ambìti, dallo sport allo spettacolo, li ha preceduti sulla via verso il Parlamento. Nessuno stupore, la legittima discesa in campo dei virologi era da mettere in conto. Altrettanto legittimo è, tuttavia, domandarsi se ciò non alimenterà un naturale retropensiero circa il peso che molti di essi hanno avuto in scelte e decisioni dettate da ragioni mediche e di salute, ma che hanno avuto effetti ben più vasti e forti sul Paese, incominciando da quelle limitazioni – dai lockdown ai numerosi divieti e prescrizioni – che la politica ha attuato non mancando mai di ricondurle alle indicazioni degli scienziati. E a fronte di un impegno diretto ed evidente, come quello di una candidatura, non c’è il rischio di aprire le porte a sospetti e dubbi – sia pure infondati – circa il loro impegno, in questo caso professionale a supporto delle decisioni politiche? Detto fuor dai denti, meglio virologi in ospedale o in Parlamento? 

“Persone che sanno fare qualcosa in un determinato settore, possono essere utili se hanno un compito molto conforme alle loro capacità. Avere Lionel Messi per servire i cocktail potrebbe non essere la scelta migliore”, risponde con il brillante sarcasmo del toscano Giovanni Di Perri, da anni direttore delle Malattie Infettive dell’Amedeo di Savoia di Torino, luminare chiamato dai vertici regionali per coordinare il comitato tecnico scientifico nel pieno dell’emergenza e poi ai vertici del Dirmei, scienziato dai modi diretti, sempre distante dalla politica politicante e altrettanto da quei talk show dove il virologo di turno aveva come sparring partner prima un negazionista del Covid, poi un novax. Nessuna presenza sui social, non molti e tutti sempre lontane dalla spettacolarizzazione, i suoi interventi nelle trasmissioni.

Dunque, professor Di Perri, l’arrivo dei virologi in politica se inevitabile non era proprio auspicabile?
“Fare un certo di tipo di carriera accademica, essere scientificamente impegnato, avere degli obiettivi scientifici e qualche volta riuscire a raggiungerli è un mestiere completamente diverso rispetto a inserirsi in un ambito estremamente eterogeneo, con regole che cambiano continuamente, legato più al numero che alla qualità. Il nostro è un mestiere totalmente diverso e, al di là che qualcuno ti offra o meno la possibilità, l’impegno in politica è anche un problema proprio legato alla duttilità, al compromesso che non tutti hanno”. 

Oltre e dietro la visibilità mediatica degli scienziati arrivata con il Covid, ci sono state scelte e decisioni molto impattanti che la politica ha ricondotto alle vostre indicazioni. Adesso alcuni di loro saranno nelle liste elettorali. 
“C’è una deriva abbastanza tangibile. Si parla di personaggi dell’area scientifica che hanno partecipato in particolare a quella fase del dibattito televisivo che in realtà è stato un litigatoio, per alzare l’audience. Non c’era e non c’è una legge che lo impedisse e il messaggio che usciva era terrificante. Su quello una critica mi parrebbe d’obbligo”.

Guardando a posteriori alcune prese di posizione, così come la sovraesposizione mediatica, non è giustificabile il dubbio circa le future ambizioni di alcuni suoi colleghi? 
“Capisco che questo, qualcuno possa senz’altro pensarlo. Non c’è dubbio”.

Questo, però non significa, per esempio, mettere un veto sia pure indiretto a un ministro che provenga dal mondo della medicina?
No, è una cosa ben diversa. Anche se oggi si dice che le ideologie non ci sono più, un conto è presentarsi con la Lega, un conto presentarsi col Pd, per fare un esempio. Avere un ministro, diciamo tecnico, sapendo scegliere la persona è auspicabile perché un ministro che ha fatto il medico ha un’etica nel generare provvedimenti che è un’etica informata. Però dovrebbe essere espressione di una carriera matura che volge al termine in cui si raccolgono anni di esperienza e un certo consenso nella sua disciplina, una sorta di pater familias. In realtà le cose non sembrano andare proprio così”.

Professor Di Perri a lei hanno offerto una candidatura? 
“A me non l’ha chiesto nessuno, quindi la mia risposta potrebbe sembrare la storia delle volpe e dell’uva. Comunque la risposta sarebbe stata no, non avrei accettato. Le dico di più: ho votato alle ultime elezioni comunali di Torino, ma non andavo al seggio dal 1992, per dirle qual è la mia affinità con la politica. Adoro il mio mestiere e sono contentissimo di quello che mi ha dato fino ad oggi”. 

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