TRAVAGLI DEMOCRATICI

Prima le urne poi la resa (dei conti)

Nel Pd la campagna elettorale assorbe totalmente i candidati ma dal 26 settembre scatterà la fase congressuale con vista sulle regionali. Riuscirà Letta a restare in sella? Gli equilibri fra le correnti. Ecco gli scenari possibili e le ricadute sul Piemonte

“Non siamo mai andati così d’accordo”. Anche se a ben guardare è una concordia di facciata, dettata dalla contingenza, quella che si vive all’interno del Partito democratico in questo ultimo scampolo di campagna elettorale. Se un merito c’è da riconoscere al Rosatellum è che non mette in concorrenza i candidati come altri sistemi, a partire da quelli che prevedono le preferenze. Tutti sono portati a remare nella stessa direzione e persino l’ormai tradizionale prova di forza di Mauro Laus, che domenica mattina ha portato al Teatro Alfieri un migliaio di aficionados non viene vissuta con fastidio dagli altri candidati, anzi sanno che anche loro ne trarranno giovamento.

I conti si faranno il 26 settembre. Il reset scatterà nella notte dello spoglio, esattamente come accadde quattro anni fa quando Matteo Renzi annunciò le dimissioni poche ore dopo la débâcle e i suoi seguaci piemontesi, in disarmo, capitolarono anche nelle primarie per la segreteria regionale, dove l’area cattolica guidata da Stefano Lepri si saldò con la sinistra post-comunista di Andrea Orlando incoronando Paolo Furia. Come andrà questa volta? Impossibile stabilirlo a priori; sono almeno tre gli scenari possibili e in tutti i casi l’esito delle urne non sarà una variabile indipendente.

Ipotesi 1. Il Pd ottiene un risultato soddisfacente che impedisce al centrodestra di governare e diventa il perno di un esecutivo istituzionale. In questo caso Enrico Letta, forte anche di gruppi parlamentari a lui leali, potrebbe salvare la ghirba e il partito ricompattarsi attorno a lui rinviando di mesi la resa dei conti.
Ipotesi 2. Il Pd perde malamente le elezioni, il centrodestra riesce a formare un governo, il segretario si dimette e s’avvia la fase congressuale in cui un’area riformista capitanata da Stefano Bonaccini, affronta la componente gauchista che potrebbe coagularsi attorno a Peppe Provenzano o Elly Schlein, la Alexandria Ocasio-Cortez de noantri.
Ipotesi 3. Il risultato delle elezioni è talmente deludente da provocare l’implosione del partito e una scissione in cui la sinistra scivolerebbe verso il Movimento 5 stelle, lasciandosi tentare dalla costruzione di una “Cosa (giallo)rossa”, mentre l’area riformista avvierebbe un dialogo con il Terzo polo (ammesso che anche quell’impresa non finisca per naufragare).

Il terremoto avrà Roma il suo epicentro, ma si sentirà fino alle più remote province dell’Italia democratica. In qualche capannello informale c’è già chi inizia a scrutare l’orizzonte e disegnare possibili scenari. È evidente, per esempio, che se dovesse subito aprirsi una fase congressuale a livello nazionale, anche nelle regioni le candidature sarebbero espressione delle filiere romane come accadde l’ultima volta nel 2014 in cui Davide Gariglio rappresentava i renziani, Gianna Pentenero la sinistra di Andrea Orlando e Daniele Viotti guidava i civatiani. Un congresso regionale slegato da quello nazionale, invece, favorirebbe una scelta unitaria sul modello che ha portato al vertice della Federazione di Torino Marcello Mazzù.

Molto dipenderà dalla capacità di Letta di reggere l’urto delle urne. Se riuscirà a rimanere al timone del partito c’è chi è pronto a scommettere che proverebbe subito a blindare alcune regioni tra cui il Piemonte. E non è un mistero che qui l’uomo più vicino all’ex premier sia l’ossolano Enrico Borghi, che già ha seguito da vicino la difficile composizione delle liste assieme a Marco Meloni e al resto del cerchio magico lettiano. In un’ottica unitaria è indicata anche un’altra possibile candidatura: quella di Daniele Valle. “Potrebbe essere un trampolino di lancio verso le regionali” ragiona un dirigente dem che ben conosce le mire, sempre meno segrete, del vicepresidente di Palazzo Lascaris verso il piano più alto del nuovo grattacielo, quello in cui si troverà l’ufficio del governatore. “A Torino Valle è certamente l’uomo più vicino a Stefano Lo Russo, di cui ha coordinato la campagna elettorale, e ha stretto un’alleanza di ferro con Laus, due aspetti che ne consolidano la posizione” ragiona la nostra fonte.

C’è poi “l’opzione donna”, giacché come al livello nazionale, anche in Piemonte il Pd parla nei convegni di parità di genere, ma un segretario del gentil sesso non l’ha mai avuto. C’è chi è certo, per esempio, che la consigliera regionale Monica Canalis, numero due di Furia, stia da tempo studiando da segretario, contando su una corrente compatta e radicata in ogni provincia. Se dovesse prevalere, invece, la voglia di uscire dalla cinta daziaria torinese in pole position ci sarebbe la deputata Chiara Gribaudo, che già quattro anni fa ci provò senza successo, ma che intanto si è rafforzata prima con la nomina in segreteria nazionale, poi con una candidatura blindata al plurinominale che la riporterà a Montecitorio (senza contare il successo ottenuto nella sua Cuneo alle ultime amministrative).

Sono loro i quattro nomi con i quali già si diletta qualche architetto delle retrovie in attesa che le urne indichino i sommersi e i salvati e determinino i nuovi rapporti di forza.

print_icon