SACRO & PROFANO

"L'omosessualità non è un peccato", dal Belgio a Torino la Chiesa friendly

I vescovi fiamminghi hanno approvato e pubblicato una liturgia per la "benedizione" delle coppie gay. Un gruppo di fedeli lgbt, guidato dal torinese don Carrega, incontra Papa Francesco. La Santa Sede non difende il vescovo di Pechino sotto processo

La settimana appena trascorsa è stata densa di novità e di avvenimenti in merito alla dibattuta questione dei rapporti tra Chiesa e fedeli lgbt. I vescovi fiamminghi, con il primate cardinale Jozef De Kesel, rompendo gli indugi, hanno approvato e pubblicato una liturgia per la “benedizione” delle coppie gay, precisando che «la differenza deve rimanere chiara con ciò che la Chiesa intende per matrimonio sacramentale», cioè un legame permanente tra un uomo e una donna. Il rito, elaborato dagli uffici liturgici, in effetti non parla di benedizione ma di una preghiera ecclesiale di rendimento di grazie, lode, supplica e intercessione. Esso prevede una preghiera, alcune letture bibliche e una dichiarazione della coppia in cui manifestano davanti a Dio «di esserci l’uno per l’altro in ogni circostanza della vita» e chiedono «la forza di essere reciprocamente fedeli». Dalla Santa Sede, non consultata preventivamente, non ci sono reazioni ma arriveranno presto – di quale segno si vedrà – poiché nelle settimane prossime i vescovi belgi sono attesi in Vaticano per la visita ad limina.Il documento che presenta il rito, conferma come la comunità ecclesiale vuole non solo stare vicino alle persone omosessuali ma anche «riconoscere, accettare e vivere il loro orientamento in modo positivo. Alcuni rimangono celibi. Meritano il nostro apprezzamento e supporto. Altri preferiscono vivere in coppia, in un legame duraturo e fedele con un partner. Meritano anch’essi il nostro apprezzamento e supporto. Perché anche questo rapporto, pur non essendo un matrimonio religioso, può essere fonte di pace e di felicità condivisa per le persone coinvolte». L’escamotage della preghiera ecclesiale supera – o aggira – il Responsum della Congregazione della dottrina della fede del 15 maggio 2021 che si esprimeva negativamente contro le benedizioni delle coppie omosessuali. Tale Responsum però non piacque a papa Francesco il quale – promoveatur ut amoveatur – spedì il suo estensore, monsignor Giacomo Morandi, a fare il vescovo di Reggio Emilia con il titolo personale di arcivescovo.

Intanto, alla quarta assemblea del Cammino sinodale tedesco, 40 dei 56 vescovi tedeschi, hanno votato a favore del testo “Rivalutazione magisteriale dell’omosessualità” che contiene la seguente affermazione: «L’omosessualità – che si concretizza in atti sessuali – non è quindi un peccato che separa da Dio, e non va giudicata come intrinsecamente cattiva». Il documento sarà presentato a papa Francesco e inserito nel processo sinodale mondiale.

In concomitanza con l’apertura dei vescovi belgi, una delegazione di cristiani omosessuali, guidati dal sacerdote torinese Gian Luca Carrega, classe 1972, ordinato nel 2000, noto biblista e responsabile della pastorale con le persone omosessuali della diocesi, ha incontrato papa Francesco al termine dell’udienza generale al quale sono stati offerti due libri di testimonianze. Nel salutare il Santo Padre, don Carrega gli ha detto: «Santità, lei ha due mani, con una ci indichi il cammino e con l’altra ci protegga, perché c’è ancora pregiudizio e discriminazione ingiusta delle persone lgbt nella Chiesa». In ultimo, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose e lo Studio Teologico di Fossano comunicano che da febbraio a maggio 2023 sarà tenuto un corso di teologia online su “Cristianesimo e Omosessualità”, docenti Domenico Degiorgis e Marco Gallo.

Per ritornare in Belgio, ogni mercoledì dei mesi di luglio e agosto, le maestose navate dell’antica chiesa di Saint-Jacques ad Anversa hanno ospitato – rimossi i banchi e vicino all’altare – con il pieno consenso del parroco e del vescovo locale, un ciclo di lezioni di yoga. Nella vicina Francia il nuovo vescovo di Metz ha concesso la splendida cattedrale gotica per la presentazione di una squadra di pallamano con sfilata di giovani atlete e intermezzi musicali.

Un gentile commentatore ci fa notare che la desolazione delle chiese sprangate su via Garibaldi e adiacenze, impietosamente descritta da Enzo Bianchi nella sua conferenza a Mappano, avrebbe un’eccezione. Si tratta della chiesa della Misericordia dove la domenica – con l’autorizzazione del vescovo – si radunano da trent’anni i fedeli per la celebrazione della Messa secondo il Vetus Ordo.Forse, egli dice, «è un segno dei tempi» sfuggito all’ex priore di Bose. Dimentica però che per gli uomini di Chiesa della generazione di Bianchi, i segni dei tempi – per essere autentici – devono essere sempre quelli degli Anni Sessanta, altrimenti non valgono, oppure hanno valore regressivo e quindi da non menzionare. Di fronte alle rivolte degli operai di Berlino Est, nel 1953, Bertolt Brecht, ironizzando, pronunciò la famosa frase: «Il Comitato centrale ha deciso: bisogna nominare un nuovo popolo». Il vecchio popolo però, sia pure come piccolo gregge, esiste ancora. I parrocchiani della SS. Trinità a Gainesville (Florida) negli Usa hanno infatti trasformato una palestra in una cappella per la Messa antica dopo che il vescovo aveva disposto che essa non poteva più essere celebrata. Yoga e pallavolo sì, Messa no.

Il 5 settembre scorso, il Santo Padre ha ricevuto Padre Geoffroy Kemlin abate di Saint-Pierre di Solesmes che gli ha posto la questione di Traditionis Custodes dopo avergli detto che nel mondo benedettino la liturgia antica è ancora diffusa. La risposta di Francesco – sibillina come quella sul caso cinese – è stata questa: «Sono a 2000 chilometri dal suo monastero. Lei è un monaco e il discernimento è ciò che fanno i monaci. Non vi dico né sì, né no, ma vi lascio discernere e prendere la vostra decisione».

La vicenda del prete ciclista ha provocato la reazione contraria del suo vescovo, monsignor Antonio Tremolada di Brescia, che ha reso pubblica la lettera di richiamo da lui inviata al sacerdote. Se alcuni hanno commentato la vicenda concentrandosi sulla perdita del sacro, termine assolutamente inviso e ostracizzato dai liturgisti piemontesi, qualche commentatore ha dato voce allo sconcerto di diversi fedeli sinceramente addolorati dall’accaduto, quasi che ormai, in nome della modernità e della sinodalità, si debba preferire il casco alla casula e che il messale di Paolo VI sia ormai un ingombrante libro da rottamare a vantaggio di una creatività al passo con i tempi. Una ulteriore dimostrazione del fatto che la tanto decantata presa di coscienza della liturgia da parte dei fedeli si stia progressivamente eclissando a favore di materassini gonfiabili e piste ciclabili, accentuata dal fatto che chi dovrebbe vigilare su queste cose appare troppo occupato a ordire trame contro gli “indietristi” e a predicare ai banchi la primavera di questo pontificato.

È iniziato in questi giorni il processo a carico del cardinale cinese Joseph Zen Ze-kiun, 90 anni, il quale per aver protestato contro la dittatura comunista cinese, insieme ad altri attivisti, era già stato arrestato e poi rilasciato su cauzione. Il suo reato è quello di aver creato un fondo per pagare le spese legali agli studenti e agli altri attivisti che durante le proteste del 2019 chiedevano a Pechino garanzie democratiche e costituzionali. Solo il cardinale Gerhard Müller ha avuto il coraggio di definire il processo «gravissimo ed ingiusto», mentre nessuna solidarietà al porporato cinese è arrivata dal decano del collegio cardinalizio, dal segretario di stato o dal papa. Stupisce – ma non troppo – il silenzio sulla vicenda dei media cattolici, sempre attenti nel denunciare la violazione dei diritti umani e della libertà religiosa. Eppure, i rapporti del 2022 delle principali istituzioni internazionali, World Watch, Onu e Amnesty International, da anni segnalano i crimini contro i diritti umani di cui la Cina è responsabile. È noto poi come in Cina la tecnologia sia al servizio della repressione e la repressione funzionale ad attività criminali, come il traffico di organi umani.

Sul volo di ritorno dal viaggio in Kazakistan, dove papa Francesco aveva riaffermato solennemente «il diritto primario e inalienabile» alla libertà religiosa, che non deve essere solo interiore o di culto ma anche «diritto di ogni persona di rendere testimonianza al proprio credo» – e cioè tutto il contrario di quanto avviene in Cina – un giornalista ha chiesto al pontefice se considerava il processo al cardinale Zen Ze-kiun «una violazione della libertà religiosa». La risposta è stata stupefacente: «Qualificare la Cina come antidemocratica, io non me la sento, perché è un Paese così complesso, con i suoi ritmi… Sì, è vero che ci sono cose che a noi sembrano non essere democratiche, questo è vero. Il cardinale Zen, anziano, andrà a giudizio in questi giorni, credo. Lui dice quello che sente, e si vede che lì ci sono delle limitazioni. Più che qualificare, perché è difficile, e io non me la sento di qualificare, sono impressioni; più che qualificare, io cerco di appoggiare la via del dialogo. Poi nel dialogo si chiariscono tante cose e non solo nella Chiesa, anche in altri settori».

Dunque il regime cinese non può essere «qualificato», nemmeno quando processa, per i suddetti motivi, un cardinale. Al confronto, vengono invece alla mente le chiare e coraggiose prese di posizione di Pio XII e della Santa Sede quando le autorità comuniste avevano inscenato il processo farsa contro l’intrepido primate d’Ungheria, il cardinale József Mindszenty (1982-1975), o quando arrestarono il cardinale polacco, il beato Stefan Wyszyński (1901-1981), oppure quando la stessa sorte toccò  al cardinale croato il beato AlojzijeViktor Stepinac (1898-1960), al quale fu impedito di venire a Roma, prima per ricevere la porpora e poi per partecipare al conclave del 1958 in cui fu eletto Giovanni XXIII.

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