Torino tra lusso e brusco

Dodici mesi dopo l’elezione a sindaco è giusto fare una prima riflessione sull’operato di Stefano Lo Russo e della sua giunta. Partendo da alcune considerazioni: si sfata l’idea della verifica del “cosa faremo nei primi cento giorni”, il tempo appena necessario per capire come regolare l’altezza della sedia rispetto alla scrivania, soprattutto in un comune grande e complesso come Torino.

Che si proceda a far ripartire la macchina del Comune, motivando i dipendenti e assumendone di nuovi, è il primo atto necessario e indispensabile affinché l’acqua faccia girare la ruota del mulino. Se non funziona la macchina comunale non fai praticamente nulla. Al netto delle difficoltà oggettive da affrontare e lo si vede a partire dalla questione anagrafi in cui occorreva prima di tutto ricostruire il clima di collaborazione e partecipazione sia con le organizzazioni sindacali che con i lavoratori.

Sicuramente il dossier Metro 2 e le grandi opere sono fondamentali non solo per riqualificare la Città ma anche per darle un indirizzo futuro avendo come obiettivo il mantenimento e l’aggiornamento evolutivo dello sviluppo industriale, sia la crescita e l’affermazione di settori di prospettiva come il turismo culturale e lavorativo che vanno consolidati per la durata dell’intero anno uscendo dalla stagionalità.

Se Cartier realizzerà il suo stabilimento occorre procedere, senza indugio e uscendo dalla logica provinciale, alla realizzazione di un polo del lusso. Dobbiamo realizzare la nostra via Monte Napoleone, la nostra via Condotti, la nostra galleria Cavour. Vendere ai ricchi beni di extra lusso e creare posti di lavoro a tempo indeterminato, questo è lo scambio da realizzare a Torino, spiegando ai nostri commercianti che non è l’invidia per il negozio vicino che ci arricchisce ma è la cooperazione sul territorio. Prendiamo un’area industriale dismessa in Città e trasformiamola nel centro commerciale della moda e della gioielleria di lusso; non arriveranno i russi ma ricchi in giro per il mondo ce ne sono. Tantissimi.

Basta guardare a Milano, Bologna, Roma per capirlo e capire le ricadute sul territorio, dagli alberghi alla ristorazione, al settore turistico in genere, ai trasporti e alla logistica. Basti pensare a quanto turismo straniero frequenta le Langhe e il Monferrato che “farebbe una capatina” anche a Torino; perché chi può concedersi una bottiglia di Barolo a 50 euro, un gioiellino o un vestitino se lo può permettere.

Se insieme ci mettiamo l’idea, già espressa del museo dei musei e anche un museo delle industrie nate a Torino dall’auto, all’aeronautica, alla Rai, alla moda faremmo un “matrimonio perfetto” delle nostre peculiarità. E di solito se un ricco, magari imprenditore, arriva a Torino per turismo potrà anche notare le risorse e le capacità che il territorio ha nel campo industriale e magari decidere un qualche investimento. Bisogna andare oltre la riservata austerità torinese. Abbiamo un’esperienza vicino a noi, Valenza, la città dell’oro, senza rubarle nulla proviamo a collegarci e aumentare la disponibilità di offerta e servizi. Mettiamo in mostra “i nostri gioielli” che vanno dai robot ai tartufi, dai nostri bei palazzi all’ingegneria aerospaziale, dai santi sociali al cibo sulla stazione spaziale.

E con le periferie oltre a non far mancare le stazioni della metropolitana si faccia un patto: “Prendiamo ai ricchi per dare a chi ha più bisogno” perché il lavoro che crea il polo del lusso non è detto che sia altamente qualificato ma l’attuale classe politica si impegni a renderlo sicuro e duraturo evitando la precarietà. Più lavoro per il terziario qualificato significa dare più certezze ai commercianti e al lavoro autonomo scambiandolo per lavoro a tempo indeterminato per i dipendenti. Se del lusso beneficeranno le periferie significa dare una progettualità e una prospettiva alla nostra area metropolitana, partendo dai più bisognosi; perciò usciamo dal nostro ovattato mondo retrò perché la crisi morde e non aspetta.

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