Fassino freddo sulla Schlein,
Lo Russo aspetta Nardella
Oscar Serra 07:00 Martedì 22 Novembre 2022
L'ex sindaco di Torino per nulla convinto dalla manovra di Franceschini, sodale di AreaDem. Il suo successore a Palazzo civico tra i pontieri che lavorano a un'intesa con Bonaccini. L'inquilino di Palazzo Vecchio tentato dalla corsa, ma non in ticket
Un sodalizio che dura dal 2009 e che oggi sarebbe sul punto di rompersi. Dario Franceschini e Piero Fassino, la coppia di fatto della politica italiana, i due fondatori di AreaDem – la componente per quasi tre lustri azionista di controllo del partito – potrebbero imboccare strade diverse di fronte al bivio che si para loro davanti in vista del congresso. L’ultimo segretario della Quercia mostra più di un dubbio sulla scelta che starebbe maturando il suo compare ex diccì, il quale fedele a quel perfido nomignolo con cui è conosciuto – “Ora et manovra” – punterebbe su Elly Schlein, Le voci rimbalzano da Roma a Torino, dove l’ex sindaco ha ancora un drappello di fedelissimi, anche se l’epilogo di questa intricata partita a scacchi è al momento impossibile da prevedere. Di certo c’è che Fassino ha già incontrato nei giorni scorsi Stefano Bonaccini. il governatore dell’Emilia-Romagna parte favorito, potendo contare non solo sul sostegno degli ex renziani di Base Riformista, ma anche di tante figure di peso, dai cattodem di Graziano Delrio ai turchi di Matteo Orfini, al presidente della Toscana Eugenio Giani. Un segnale di come si sta muovendo l’ex ministro della Cultura arriva dalla famiglia: Michela Di Biase, deputata romana e moglie di Franceschini, avrebbe invece comunicato il proprio sostegno a Schlein. Come andrà a finire?
Era ancora molto forte il Lungo quando al congresso di tredici anni fa resistette al richiamo della foresta per schierarsi con l’amico Dario e contro Pier Luigi Bersani, che aveva radunato attorno a sé tutti i reduci Ds, a partire da Massimo D’Alema. Da una parte c’era l’identità di un gruppo dirigente che aveva gettato il seme della Quercia prima di abbatterla a colpi d’accetta, dall’altra il sogno di un Ulivo da continuare a coltivare. Vinse Bersani ma dal giorno dopo il baricentro del Pd divenne Franceschini.
Chi lo conosce bene è pronto a scommettere che Fassino cercherà in ogni modo di evitare la rottura e anzi c’è chi è convinto stia utilizzando il suo ascendente per convincere l’antico sodale a “fermarsi”. Su-Dario, come lo irride Dagospia, sa bene che se vincesse Bonaccini il suo (stra)potere all’interno del Pd sarebbe notevolmente ridimensionato, ma allo stesso tempo quanti pezzi perderebbe per strada in un’operazione tanto cinica quanto politicamente azzardata? L’ultimo discendente della Balena Bianca che mette le sue tessere a disposizione di una sinistra arcobaleno, nelle mani della leader di #OccupyPd? Un’operazione magari da edulcorare in un ticket con il sindaco di Firenze Dario Nardella, ma pur sempre indigesta al corpaccione dem.
In questo scenario, in cui l'ala sinistra del Pd annaspa senza sapere come muoversi, si è messo in moto anche il fronte dei sindaci che, sotto la regia del presidente Anci e primo cittadino di Bari Antonio Decaro, punta a mettere sulla mozione Bonaccini l'imprinting degli amministratori locali, forse l’ultimo patrimonio rimasto in termini di consenso al Pd. Nessuno tra i sindaci di grandi città si è ancora schierato (c’è l’iperattivismo di Matteo Ricci liquidato come una macchietta) ma molti di loro stanno lavorando sottotraccia “per evitare che salti tutto”. Tra questi c’è anche Stefano Lo Russo, che un anno fa ha riportato il centrosinistra alla guida di Torino e che starebbe sfruttando il buon rapporto con Nardella per costruire un ponte tra Firenze e Bologna, evitando che il Dario di Firenze finisca tra le grinfie del Dario di Ferrara.
Qualche passo è stato fatto e la dimostrazione risiederebbe nelle parole con cui proprio Nardella annuncia la sua convention di domenica prossima a Roma: “Ci batteremo per un congresso che non sia la resa dei conti tra gruppi di potere, anticamera di una scissione, ma sia l’occasione di ritrovare una identità forte, una casa comune e plurale che dia voce a milioni di cittadini che non hanno perso la fiducia nella politica. Ora sto lavorando sodo per questo evento, poi deciderò”. È probabile che in tale contesto scioglierà l’enigma sulla discesa in campo. Matteo Renzi avrebbe ricavato questa impressione da un colloquio di qualche giorno fa: “Secondo me si candiderà, io così ho capito”. Il collega di Milano Beppe Sala lo sprona, giudicando negativamente un congresso eccessivamente polarizzato, anzi “radicalizzato”. Insomma, non è affatto escluso che alla fine l’inquilino di Palazzo Vecchio decida di candidarsi, non necessariamente in tandem con la Schlein.