L'Europa in crisi non (solo) per il Qatargate

Attacco alla casa della democrazia e all’Europa, fine della superiorità morale della sinistra, scandalo che parla italiano, scontri dialettici tra destra e sinistra, con annessa goduria di Gianni e Pinotto (Azione), confronti tra garantisti e forcaioli, corruzione personale ma Istituzione salda, sermoni sull’etica lobbista: si è sentito di tutto, sempre ben condito dalle immancabili vestali dell’informazione depositarie di morale e princìpi.

Informazione che tutto indaga, che tutti sprona, che tutto rimesta in salsa politicante per poi concludere con la sensazionale scoperta del grosso spessore del politicantismo, antica e desueta espressione che indica la politica come opportunità personale. Quanto impegno, quanta fatica per rincorrere il nulla, per dirla con un ossimoro, per evidenziare il tutto e contemporaneamente il nulla.

Non trascurando, poi, la retorica europeista che, tra il serio e il faceto, tenta disperatamente d’innalzare il livello e il contenuto dell’analisi, Roberta Metsola, presidente del Parlamento: “La democrazia europea è sotto attacco, il nostro modo di essere società aperte, libere e democratiche è sotto attacco”. Antonio Tajani, ministro degli Esteri: “Le lobby sono pubbliche e trasparenti, il Parlamento è l'unica istituzione democratica in Europa e va difeso”; Ursula von der Leyen, presidente della Commissione: “Stiamo controllando ogni dettaglio sul registro della trasparenza, abbiamo regole molto chiare per tutti, se dovesse emergere qualcosa di nuovo dovremo reagire; favorevole all’istituzione di un organismo indipendente di controllo per sorvegliare e punire eventuali violazioni della legge e dell’etica”.

Insomma, un ex deputato, una dei quattordici vicepresidenti del Parlamento e pochi altri adepti in combutta con le diplomazie di due Stati hanno messo in crisi l’Europa e la sua democrazia: quindi, basta interrompere l’intreccio e l’Ue potrà riprendere la sua aspirazione per arrivare ad essere un sistema politico attrattivo. Anzi, più controlli e sorveglianza consentiranno di agevolarne il cammino, un riuscito esempio di resilienza, tanto cara alla comunità europeista: dalle grandi crisi scaturiscono grandi opportunità.

No! Ma così non è. L’Europa non è in questa condizione, non è avvertibile questa prospettiva; a furia di auspicare e rincorrere resilienza, criticità dopo criticità, l’europeismo disperde credibilità e convincimento sul suo futuro. Occorre convincersi che l’intervallo tra l’amore per l’Europa e la governance europeista è proiettato alla divaricazione. Così come non crediamo che l’europeismo possa connotarsi come ideologia; un’ideologia presuppone una visione del mondo, lontana dalla retorica politica utilizzata per indurre a credere, presuppone un sistema di credenze e di idee, di sensazioni rapportate alla tradizione e alla morale che ci sono proprie. L’europeismo? Un castello di procedure, regole, direttive, regolamenti e quant’altro utilizzate da una tecnoburocrazia per il governo dell’istituzione Europa e ancor più per disciplinare la vita delle genti d’Europa.

Uno Stato imperiale, o più acutamente, un esteso e articolato condominio che, in assenza di un idem sentire, abbisogna di essere regolato e quotidianamente mediato. Anche così si spiegano 12.411 iscritti, appartenenti a società di lobbying, accreditati presso il Parlamento a dimostrazione di un depotenziamento del ruolo di Parlamento e Commissione. Più lobbying non significa apertura alla società o, come si sente dire, più democrazia che nell’accezione contemporanea si intende come processo e metodo per un ordinato ricambio della classe politica, ben lontana dal significato greco di governo del popolo.

D’altronde siamo abituati alle menzogne convenzionali della nostra civiltà, saggio pubblicato nel 1883 da Max Nordau, cofondatore dell’Organizzazione Sionista Mondiale: una magistrale analisi delle criticità della dinamica parlamentare anche sul versante dell’onore e della dignità, in anticipo di 139 anni sul chiacchiericcio delle nostre vestali.

Non possiamo considerare Bruxelles un Parlamento tradizionale, la funzione legislativa è del tutto limitata e in buona parte esplicata in codecisione con il Consiglio il cui presidente, Charles Michel, è in perenne tensione con il presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Evidenziarlo è, certamente, politicamente scorretto, annunciare che il Parlamento è sotto attacco è funzionale anche allo schermare problemi ed indagini in corso relative alle trattative private con comportamenti né chiari, né trasparenti, della baronessa von der Leyen in merito all’acquisto dei vaccini anti covid.

Assedio delle lobby, contrasti tra vertici, inchieste della Procura europea, abbandono della Gran Bretagna non sono le sole criticità, né le più rilevanti.

La strategia politica dell’Unione? Un sostanziale fallimento; la sua politica estera è di un atlantismo esasperato che non lascia alcun margine di autonoma manovra sullo scacchiere internazionale. Sono anni che a seguito di crisi internazionali ascoltiamo il mantra “ci vuole più Europa” ma un’invocazione dopo l’altra, una risoluzione via l’altra, che in quanto atti non vincolanti lasciano il tempo che trovano, certificano un’Europa del tutto ininfluente sullo scacchiere planetario. Tramontata anche l’ambizione di un progetto di Difesa comune surclassato dalla totale espansione continentale della Nato la cui dottrina sulla Condivisione Nucleare ci pone, sul piano dell’autonomia, dell’agibilità e della sovranità, non distanti dall’amministrazione fiduciaria Usa sullo scacchiere della Micronesia. In Europa le testate atomiche Nato si stimano, i dati sono segretati, intorno alle 220. L’Italia, tra le basi di Aviano e Ghedi, ne detiene 90 ed è di questi giorni il dispiegamento di 150 nuove bombe tattiche montabili su tutti gli aerei da combattimento rendendone così più agevole l’utilizzo. Una non Politica estera e la scomparsa della Politica di difesa si accompagnano ad un espansionismo della Cina mirato alle infrastrutture strategiche: dal porto del Pireo a quelli di Amburgo, Anversa, Vado Ligure, Valencia e Bilbao, interessata alla distribuzione logistica internazionale in primis all’interscambio rotte marittime/ scali ferroviari.

Allora quali le note conclusive: certamente la crisi dell’europeismo e della sua impalcatura istituzionale, in particolare della Commissione e del Parlamento, l’evanescenza della sua visione politica sul futuro del Continente, l’accentuata modestia della sua dirigenza politica e tecnocratica, entro cui va inscritta, senza enfasi, la telenovela del Qatargate. Situazione e clima politico a Bruxelles sono il frutto di un albero mal piantato e non l’opera di chi attenta alla critica bontà dell’albero.

I mutamenti culturali si misurano in lustri così come le conversioni dei popoli, il liberalismo, portatore di libertà individuali, potrà essere efficace per comprendere l’inutilità e il pericolo di super Stati. L’Europa riparta solo dalla struttura del Consiglio, lasciando al passato Commissione e Parlamento, strutture superflue e ridondanti. È necessario dar vita a una diversa Europa che salvaguardi e promuova sé stessa, che riscopra la sua pre-contemporaneità, capace di esprimere un disegno vergine e innalzare un canto nuovo sul futuro del pianeta, che sappia e voglia non ascoltare le malefiche sirene di Davos.

*Vincenzo Olita, direttore di Società Libera

print_icon