L'anno che verrà

Tra un paio di giorni saluteremo l’arrivo del nuovo anno. Attenderemo la mezzanotte del 31 gennaio con un calice in mano e mentre Torino sarà scossa da botti, bombe carta e fuochi d’artificio non autorizzati, daremo l’addio al 2022.

La maggior parte degli italiani rispetterà il rituale che da lungo tempo è parte imprescindibile delle celebrazioni di Capodanno, compreso il doveroso brindisi accompagnato dall’auspicio di dodici mesi pieni di grandi cose. Difficilmente però gli auguri includeranno un attimo dedicato al rimpianto per l’anno finito, che andrà via a testa bassa nel biasimo generale. Nessun rimpianto quindi per il 2022 (come già accaduto per il 2020 e 2021) ad esclusione di qualche nostalgia associata ai bei ricordi di coloro che nei mesi passati hanno visto decuplicare i propri profitti economici. Probabilmente manifesteranno un pizzico di commozione i produttori di armi, gli amministratori delle multinazionali farmaceutiche, gli speculatori e chi ha in mano la distribuzione di energia elettrica e gas.

Talkshow e telegiornali dalle prossime ore dedicheranno ampi servizi ai cenoni degli italiani, ai consumi, a chi lavorerà il Primo gennaio e infine, immancabilmente, alle previsioni sull’anno in arrivo. Una patina di spensieratezza permetterà quindi di varcare la barriera che divide il passato dal futuro, ma l’oblio per forza durerà poco.

Un anno fa, in questo periodo, sui social veniva pubblicata una gran quantità di vignette dove si raffigurava l’anno nuovo al pari di un grande e pericoloso viaggio verso l’ignoto. L’immagine più condivisa era quella di un ponte tibetano che spariva nelle nebbie del 2022. L’inquietudine si sta facendo largo anche adesso, e la speranza scricchiola di fronte a un quotidiano sempre più difficile.

I mesi alle nostre spalle hanno fatto arrivare nelle case i boati assordanti della guerra, o meglio delle tante guerre che insanguinano e devastano il mondo. Hanno riportato inoltre in primo piano la corruzione politica e la sensibilità degli eletti nei riguardi del lusso, dal Parlamento europeo al caso italiano di Soumahoro, non mancando di ricordare alle persone gli effetti della speculazione economica: una buona opportunità per pochi a cui corrisponde il saccheggio dei salari di tanti.

Inoltre, l’autunno scorso ha visto il proliferare di una prassi sino ad allora inedita, o perlomeno rara, qual è il distacco dei condomini morosi dalla rete del teleriscaldamento. L’inverno invece si è fatto notare consentendo ai cittadini di toccar con mano le difficoltà che attanagliano la Sanità pubblica, sempre carente di fondi e investimenti destinati al suo potenziamento: è stata sufficiente un’influenza, seppur aggressiva, per congestionare i Pronto Soccorso e obbligare il personale a turni infiniti.

Lo stesso quadro sociale è peggiorato molto in queste ultime cinquanta settimane, e la nuova povertà, diffusa in tutto il Continente, guarda al riscatto affidandosi a parole d’ordine che hanno radice in un passato non così “passato” come si pensava. Tentazioni social nazionaliste tornano alla ribalta, adottando in maniera strumentale storiche teorie della Sinistra, e alimentano addirittura guerre non trovando alcun ostacolo da una classe politica “democratica” inadatta, incoerente e incapace di agire senza aver prima ottenuto il nulla osta dalla Casa Bianca.

Alla fine, se nel 2023 pagheremo bollette meno simili a un plotone d’esecuzione pronto a fare fuoco, sarà solamente a causa di un’illusione ben congegnata da un dirigente “creativo”: le fatture, infatti, verranno consegnate ai consumatori ogni mese, anziché ogni due come d’uso attualmente. La sensazione sarà di pagare la metà, ma il debito mensile sarà pari (se non superiore) a quello bimestrale diviso per due. E oltre il danno la beffa, poiché le banche, le Poste e chiunque fornisca il servizio di transazione dei pagamenti ci guadagneranno il doppio. In alternativa gli utenti saranno costretti a usare le applicazioni dedicate, o disporre l’addebito bancario perenne, che però non permette di gestire le fatture di volta in volta (rischiando così di pagare anche gli addebiti non dovuti).

Insomma, anche questa volta le basi per un prossimo cambiamento in meglio sembrano del tutto assenti. La regìa di ogni evento economico, bellico, sociale è in mano alla politica. La politica decide, demolisce lo Stato sociale oppure costruisce il bene collettivo (quest’ultima, cosa purtroppo non frequente).

Il miglior augurio, allora, non può essere il semplice “Buon Anno Nuovo”, ma il realistico ed efficace “Buona presa di coscienza nell’Anno che verrà!”.

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