SACRO & PROFANO

Repole, un anno da "mediano".
A Roma è già partito il totopapa

L'arcivescovo di Torino si è imposto come una figura ecclesiale adeguata ai tempi, di grande equilibrio e un pizzico di equilibrismo. Sorprendendo e smentendo molti pregiudizi. Per la successione di Francesco prende quota il lussemburghese Hollerich

È trascorso poco più di un anno da quando fu annunciata la nomina di Roberto Repole ad arcivescovo di Torino e se non è ancora possibile tracciare un primo bilancio del suo inizio di episcopato, si possono però intravedere alcune linee di fondo del suo governo pastorale. Finora egli si è saputo presentare, nei più svariati contesti, come una figura ecclesiale adeguata ai tempi e alle situazioni di una Chiesa torinese sempre più in affanno. La sua cifra distintiva pare essere l’equilibrio, quando non l’equilibrismo, sapientemente studiato. Coniugando l’ortodossia cattolica con il progressismo teologico, tenta di restituire un po’ di pace alle polarizzazioni interne abbassando la temperatura dello scontro, sempre felpato, ma ben presente. Chi si aspettava dall’arcivescovo Repole la riproposizione della consunta e cinquantennale narrazione sulla città operaia e solidale ha dovuto presto riorientarsi, così come le varie armate Brancaleone che scambiarono la scelta del nuovo vescovo come l’avvio di una resa dei conti – un po’ ignorante e un po’ psichiatrica – con i sacerdoti giovani, magari in talare.

I tempi in cui certi vescovi brandivano con la destra la clava e con la sinistra il Concilio – in uno strano connubio tra progressismo teologico e governo tridentino – paiono essere passati di moda, complice anche la scomparsa dalla Curia o da questo esilio terreno di alcuni preti che, nel bene e soprattutto nel male, hanno accompagnato la decadenza religiosa di Torino, di pari passo con la perdita di importanza della città a livello nazionale. In questo senso, Repole non pare aver raccolto l’eredità del protagonismo mediatizzato alla Nosiglia e nemmeno lo scaltro autoritarismo alla Poletto e nemmeno sembra ispirarsi, in qualche modo, alle trovate del populismo provinciale alla Derio Olivero. Le sue citazioni sono spesso raffinate ma non ostiche, le sue omelie sono sistematiche ma non tediose, i suoi interventi sulla scena pubblica sono sempre misurati ma non irrilevanti, quasi che in ogni contesto egli si sforzi di raggiungere una onesta via mediana senza scontentare nessuno e senza alcuna apparente sporgenza verso una o l’altra causa. E questo – conoscendo la sua provenienza – non era scontato. Monsignor Repole pare aver capito molto bene che ciò che cerca la maggioranza dei credenti non è un giudizio sul 41 bis o su Elly Schlein, quanto piuttosto sentir parlare di Cristo.

In questo senso la ripresa della lectio divina e la Messa celebrata ogni domenica in duomo – che si spera possa diventare, come dovrebbe essere, il luogo ove la liturgia splende e modella – rappresentano un segnale significativo. Così come è stata apprezzata la sua paternità verso don Danilo Piras che, dopo aver lasciato la parrocchia, ha accolto con sé in episcopio. Davanti a lui i problemi si ergono in tutta la loro complessità, fra tutti la riduzione delle parrocchie, la necessità di accompagnare alcuni parroci al congedo, la riconfigurazione della vita pastorale, la celebrazione di un sinodo che fino ad oggi pare non abbia entusiasmato nessuno, il seminario, la formazione, i direttori di Curia e via enumerando. Sarà interessante osservare come, a fronte di sfide che non attendono più rinvii, si muoverà in vista del bene supremo e cioè la salvezza delle anime, troppo spesso dimenticato o scambiato per il semplice wellness spirituale.

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Intanto sono trascorsi dieci anni da quando Bergoglio è asceso al Soglio di Pietro e l’anniversario viene celebrato dai media – specialmente da quelli laicisti – non tracciando un bilancio sulla missionarietà, la sinodalità, il dialogo ecumenico o le difficoltà dell’annuncio – come sarebbe avvenuto per papa Ratzinger – ma da una profluvie di cori trionfalisti come non ci saremmo aspettati nemmeno dai settimanali diocesani. In quanto ad ossequiosità, si è comunque distinto quello di Torino dove si è sostenuta – con una buona dose di coraggio – una tesi che nessuno più osa affermare e cioè che fra i due papi vi sarebbe una sostanziale continuità. Insomma, come ha notato qualcuno, i toni sono talmente elogiativi che sembrano “coccodrilli”.

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In occasione del decennale è anche ripartito il totopapa in vista di un futuro conclave che, comunque, non pare affatto alle viste. Fra i papabili di sinistra – gli unici  nella partita – mentre sembra venuta meno la candidatura del filippino Luis Antonio Tagle, caduto in disgrazia a Santa Marta, emerge sempre di più  quella del cardinale Jean-Claude Hollerich, lussemburghese, 64 anni, gesuita con una lunga permanenza in Giappone, ordinato nel 1990, arcivescovo del Lussemburgo dal 2011, relatore generale del sinodo e che ha avuto modo di esprimere, in più interviste, il suo programma che si situa in una via mediana con le posizioni del sinodo tedesco. Auspica «dopo matura riflessione», che vengano ordinati uomini sposati scelti far i viri probati e questo per arginare la crisi delle vocazioni sacerdotali. Non vede possibili le ordinazioni femminili ma consente che donne di esercitare molti ruoli importanti. Nel concreto: le donne non devono consacrare l’Eucaristia, ma si può affidare loro l’omelia. Ma è sulla morale che le posizioni di Sua Eminenza appaiono innovative: «Noi dobbiamo cambiare il nostro modo di vedere la sessualità per cui la tradizionale dottrina della Chiesa sul carattere peccaminoso delle relazioni omosessuali sono erronee. Credo che i fondamenti sociologici e scientifici di tale dottrina non siano più corretti». Così, a fortiori, per i divorziati risposati ed anche per i protestanti: «A Tokio davo la Comunione a tutti coloro che venivano a Messa. Non ho mai rifiutato la Comunione a nessuno. Partivo da un principio che, se un protestante veniva a comunicarsi, è perché sapeva cosa i cattolici intendono per Comunione, almeno quanto gli altri cattolici che partecipavano alla Messa». Ma per aggiungere poi: «Tuttavia non celebrerei con un pastore evangelico». Veramente la confusione è somma! Pur contrario all’aborto come diritto fondamentale Hollerich ritiene che la posizione della Chiesa in materia di difesa della vita non sia più percepibile e si debbano trovare «altre vie». Quali non viene detto.

Da fonti attendibili, sappiamo che il porporato lussemburghese sarebbe il preferito e il più ben visto come futuro pontefice nientedimeno che dai vescovi piemontesi. Quelli – ben inteso – che si rendono conto in quale Chiesa stiano vivendo. Lo sono in particolare i tre di origine lombarda – tutti “martiniani” di ferro – i quali, specialmente quelli di Mondovì e di Acqui (il novarese Brambilla è fuori gioco), non solo sono accreditati alla Cei, ma frequentano la Curia romana con assiduità e osano spingersi persino, ma con prudenza, sul limitare di Santa Marta.

Ma come vanno le cose in materia di fede in Lussemburgo dove l’aspirante pontefice Hollerich è arcivescovo dal 2011? Un sondaggio condotto dall’European Value Survey tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, rivela che mentre nel 2008 il 75% degli abitanti del Granducato credeva o praticava una religione, nel 2020 erano solo più il 48% e mentre nel 2008 solo il 39% affermava che Dio non è importante nella propria vita, tale percentuale è esplosa al 60% nel 2021. Insomma, un bel record di ateismo. Effetto Francesco o effetto Hollerich?

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È stato rinnovato dal papa il Consiglio dei cardinali – il cosiddetto C9 –, un comitato istituito dal pontefice nel 2013 per coadiuvarlo nella riforma della Curia romana. Esso ha soppiantato nella pratica il collegio cardinalizio, l’unico organismo deputato per diritto a consigliare il sommo pontefice nel governo della Chiesa ma che ha lo svantaggio di avere nel suo seno anche qualche mente libera. Il segno dei nove componenti è tutto marcatamente progressista e quindi, visti anche i brillanti risultati conseguiti della sua granducale arcidiocesi, non poteva non essere chiamato a farne parte il cardinale Hollerich. Forse per cominciare ad impratichirsi nella guida della Chiesa universale in vista di ulteriori disastri. Come segretario del consiglio dei cardinali è stato confermato l’arcivescovo albese monsignor Marco Mellino, noto come “la sfinge”.

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Il sinodo tedesco ha approvato, con una larga maggioranza, le cerimonie di benedizione per le coppie omosessuali. All’assemblea sinodale finale di venerdì scorso a Francoforte sul Meno, 176 delegati hanno votato a favore, 14 sono stati i contrari e 12 gli astenuti, mentre 38 vescovi hanno votato sì, 9 vescovi no e 12 si sono astenuti.

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