SANITÀ

Ospedali e case di comunità, servirà un miliardo all'anno

Le strutture previste dal Pnrr, finiti i finanziamenti, imporranno una spesa altissima per non restare scatole vuote. Le previsioni fosche dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio. Confermate le preoccupazioni delle Regioni. Manca personale, un'altra "occasione" per le coop?

Parecchi e pesanti dubbi sul fatto che le risorse messe in campo possano bastare per rendere operative, nei tempi previsti, le strutture di medicina territoriale previste dal Pnrr. Ma anche una certezza: quando i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza saranno esauriti, al sistema sanitario italiano servirà più di un miliardo all’anno per far funzionare i nuovi servizi.

Se poi si aggiungono i pesanti interrogativi circa il personale, sempre più difficile da trovare, e la complessità degli accordi per coinvolgere i medici di famiglia nelle nuove attività, il quadro che fornisce l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, in un focus dedicato al Pnrr sul fronte della sanità, è a dir poco allarmante. Le questioni evidenziate da mesi sono le preoccupazioni manifestate in primis dalle Regioni che se da una parte spingono sulle Asl per rispettare i tempi dettati dall’Unione Europeae cui sono legate le erogazioni delle risorse, dall’altro non nascondono il rischio, come ancora di recente ha osservato l’assessore piemontese Luigi Icardi di “costruire strutture che possono trasformarsi in scatole vuote, se non ci sarà il personale necessario”. Non ultimo se i costi di gestione, stimati nel focus, dovessero imporre scelte dolorose a livello centrale.

“Le case di comunità rischiano di restare vuote, senza medici di base. O portiamo i professionisti in quelle strutture, oppure è inutile continuare realizzarle”, l’assessore lo aveva detto senza giri di parole al ministro della Salute Orazio Schillaci non più tardi di tre mesi fa. L’incremento necessario, una volta esauriti i fondi del piano, per far funzionare le case egli ospedali di comunità, insieme alle altre strutture la cui entrata in funzione è fissata entro e non oltre il 2026, è calcolato in almeno, 1,24 miliardi l’anno. Solo per gli ospedali di comunità, si calcola un costo del personale che ammonterà a 239 milioni. “Plausibilmente – si legge nel documento – emergerà quindi l’esigenza di destinare ulteriori finanziamenti all’assistenza sanitaria territoriale”. Ma proprio la sanità del territorio, la cui inadeguatezza è stata tragicamente posta in evidenza della lunga emergenza pandemica, continua a rappresentare una serie di difficoltà proprio nell’attuazione del piano e nella sua trasformazione strutturale. E ancora una volta i maggiori problemi sono legati al personale.

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“Con riguardo al necessario potenziamento delle risorse umane, la difficoltà di reperire il personale e la perdita di attrattività del Servizio Sanitario Nazionale stanno diventando un’emergenza, soprattutto per quanto riguarda gli infermieri e alcune categorie di medici, da affrontare – scrivono gli esperti dell’Upb – con una adeguata programmazione del personale, l’incremento dell’offerta formativa, l’adozione di misure volte a restituire attrattività al lavoro nel Servizio in termini di riconoscimento sociale ed economico”. E qui con i sindacati dei medici ospedalieri “si sfonda una porta aperta”, ammette Chiara Rivetti, segretaria regionale di Anaao-Assomed. “Quando continuiamo a sostenere la necessità di più risorse per la sanità, denunciando che è sottofinanziata, diciamo proprio questo. Pare banale dirlo, ma non si possono fare le nozze coi fichi secchi”. E non si possono costruire strutture con la prospettiva che un altro sindacalista in camice bianco come Antonio Barillà, al vertice regionale dello Smi, preconizza così: “Le case della salute diventeranno delle cattedrali nel deserto. Non risolveranno i problemi della medicina territoriale e, visto che non si troverà il personale, verranno affidate alle cooperative”, come già sta succedendo per i Pronto Soccorso e altri reparti, con costi che lievitano spaventosamente.

Tra i nodi che si annunciano estremamente complicati da sciogliere c’è il futuro ruolo dei medici di medicina generale nell’ambito delle strutture del Pnrr. Il loro coinvolgimento nell’attuazione della riforma “richiederebbe una chiara regolazione delle forme e dei modi della partecipazione alle varie strutture e una revisione dei percorsi formativi per rafforzarli e adeguarli alla nuova impostazione delle cure primarie sul territorio. L’ipotesi di trasformare i medici di base da liberi professionisti convenzionati in dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale – si legge nel documento – al momento sembra essere stata accantonata e Il ritardo nella contrattazione nazionale finisce per essere causa ed effetto delle difficoltà a introdurre e finanziare, innovazioni più rilevanti, pure necessarie nell’ottica della riforma”. Una riforma il cui percorso verso la compiuta realizzazione è legato a tempi certi e tappe precise per non perdere i finanziamenti, ma che richiederà molti più soldi per non produrre solo una serie di scatole vuote. 

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