Cantori dello stesso canto

La gestione dell’immigrazione negli ultimi trent’anni assomiglia ad una tragicommedia in cui i ruoli, talvolta interscambiati a seconda della collocazione politica, sono costantemente falsati in rapporto ai reali intendimenti, alle concrete prospettive e, per i pochi che le hanno, alle visioni del futuro. Gli unici che interpretano una vera parte spesso, al calar del sipario, con tragico finale, sono adulti e bambini senza colpa se non quella di fidarsi di un’evanescenza, chiamata Unione europea. E sì, per tutti la chimera è la struttura e l’organizzazione politica di un continente che non meriterebbe il malinconico tramonto a cui lo destinano leadership nazionali e continentale.

Ancelle e vassalli di imperialismi, visioni globaliste, potentati finanziari, filantropi dell’Umanità, - solidali e caritatevoli al limite della glorificazione, che la Mente dell’ong, chiamata anche Vaticano, potrà anche beatificare - intellettualità di Davos, Onu con le sue Agenzie e tant’altro, sono questi i centri nevralgici e propulsori del pensiero unico europeo.

Ci siamo allontanati da quello che voleva essere un nostro intendimento parlando di emigrazione, raccoglierci per qualche secondo in memoria delle decine di migliaia di scomparsi in mare. Sono morti che, al di là della lotta politica e della propaganda, fondamentalmente interessano a pochi. Anzi, la morte come testimonianza e strumento per rafforzare tesi e antitesi di partigiani obiettivi e convinzioni di schieramento di un fenomeno avviato in sordina negli anni Settanta, quindi, cinquantenne, obsoleto ma che appare emergenziale ad ogni naufragio. Poi dopo i cordogli di maniera e i consueti mantra, a seguito di grandi naufragi, i raccontatori professionisti si adoperano nel raccontare un trentennale racconto.

2013 3 ottobre, tralasciando i precedenti, al largo di Lampedusa 368 morti e qualche decina di dispersi mobilitano politica domestica e Commissione europea. Sull’isola arrivano Letta e il presidente Barroso che dichiara: “l’Europa non può voltarsi dall’altra parte quando ci sono barconi che affondano, l’immagine delle centinaia di bare non andrà mai via dalla mia mente”. Il commissario Ue agli Affari interni la svedese Cecilia Malmstrom, commovendosi in una conferenza stampa a Lampedusa: "L'Italia non può più sopportare da sola lo sforzo. Serve passare dalla solidarietà a passi concreti”.  Il ministro dell'Interno Alfano annuncia l'inizio dell'operazione Frontex definendola: "un premio alla fatica dell'Italia". Bergoglio ammonisce: “La comunità europea agisca”. Il 24 ottobre il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini e il presidente della Regione Rosario Crocetta, ricevuti a Bruxelles dal Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, chiedono la revisione delle leggi europee in materia di asilo. Poi il grande impegno europeo si esaurisce con 30 milioni di euro all’Italia per fronteggiare l’emergenza.

2015 18 aprile, al largo delle coste libiche circa 900 dispersi, Renzi invoca un vertice europeo straordinario e annuncia l’arresto di 976 scafisti negli ultimi mesi. Hollande: un dramma immane che richiede l’intervento europeo, Mattarella richiama l’Ue all’impegno, Bergoglio si appella alla comunità internazionale per un agire d’urgenza.

In maggio la Commissione europea adotta l’Agenda sull'immigrazione che prevede: “Forte politica di asilo comune, lotta contro i trafficanti, prevenzione della migrazione irregolare, gestione delle frontiere esterne e nuove politiche di migrazione legale”. Sullo stesso binario potremmo continuare per i successivi otto anni, fino alla tragedia di Cutro, in cui nulla cambia se non la quantità dei defunti, 26mila in dieci anni, e il moltiplicarsi della flotta delle Ong.

2015 novembre, a Malta vertice internazionale sull’immigrazione convocato dal Consiglio europeo, vi partecipano più di sessanta Stati africani e europei, l’Ue, l’Unione africana, l’Alto commissariato per l’Onu dei rifugiati e la Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale (Ecowas). L’incontro, che mirava ad un accordo sui rimpatri con molti paesi, trova un sostanziale fallimento per gli intendimenti africani indirizzati in primis a una più efficace politica di cooperazione. Per i paesi africani l’immigrazione è una risorsa, le rimesse annuali della diaspora ammontano a circa trenta miliardi di dollari. In conclusione, il vertice partorisce buoni intendimenti e nessun accordo.

2017, 119 mila sbarchi a fronte dei 181mila del 2016, il ministro dell’Interno del Pd Marco Minniti tenta di regolamentare l’attività delle Ong nel canale di Sicilia tra non pochi contrasti con il suo stesso partito. Anche Salvini, nel suo travagliato anno da ministro dell’Interno, non risparmia l’impegno per una politica europea condivisa sull’emigrazione, conclusosi con un nulla di fatto. 

2019 settembre a Malta, un incontro tra Francia, Germania, Italia, Finlandia e Malta, a differenza di quello del 2015, si chiude con forti entusiasmi. La raccontatrice, questa volta è il Ministro dell’Interno Lamorgese: “I migranti che arrivano in Italia e a Malta saranno redistribuiti nei paesi europei entro quattro settimane, in deroga a quanto previsto dal Regolamento di Dublino”. Al culmine della soddisfazione Lamorgese: “L’Italia non è più sola, arrivare in Italia vuol dire arrivare in Europa, su questo c’è ampia condivisione”. Nei mesi successivi la continua pressione migratoria non beneficia degli accordi che svaniscono in un totale fallimento pur continuando per mesi l’ottimismo e le rassicurazioni casalinghe del ministro sulla strategia italiana.

2022 il canto non cambia, cambiano i cantori, da ottobre l’attuale Governo assicura che il problema migranti è ormai problema europeo, di certo c’è che gli arrivi nei primi quattro mesi di quest’anno sono quadruplicati.

La cronologia delle tragedie e il susseguirsi dei fallimenti politici stanno ad indicare l’inefficacia della nostra dirigenza e l’inconcludenza del sogno europeista. Proviamo, allora, a sottrarci alla retorica, al falsamente corretto e all’universalità del pensiero unico. Proviamo a pensare con critica razionalità, se si vuole, con un approccio euristico capace di guidarci verso la comprensione di un caos continentale.

Non per contraddirci ma occorre muovere da un’asserzione: “In Europa, sulle migrazioni, la politica è profondamente dicotomica; non usiamo le nebulose definizioni di destra e sinistra in quanto non più decifrabili rispetto agli originali significati già obsolete quando Ortega Y Gasset le descrisse come forme di emiplegia morale.

Ritornando all’Italia, gli aspetti retorici e propagandistici lontani e ininfluenti rispetto a possibili soluzioni, miranti esclusivamente alla delegittimazione delle posizioni avversarie, hanno relegato il fenomeno migrazione nell’ambito di un inconcludente dibattito domestico, con accenti traboccanti, che rinvia sine die qualsiasi via d’uscita.

Anche gli accordi stipulati dall’Ue con i Paesi membri e le innumerevoli risoluzioni non hanno prodotto sostanziali effetti. Per gli europeisti è lontano il “Pacta sunt servanda” principio del diritto internazionale che contempla di onorare gli impegni contratti.

Fondamentalmente non vi è volontà di chiarezza sui reali intendimenti sia del novismo progressista che dei suoi detrattori. La contrapposizione si consuma sugli sbarchi, i salvataggi, le tragedie e la conflittualità tra europeisti, non si palesano credibili visioni sul futuro, su orientamenti e strategie, senza sottintesi, sulla disciplina degli ingressi.

Gli aperturisti si limitano a specificare che siamo in presenza di un fenomeno strutturale, quindi, per definizione, senza limite di durata e intensità, non vi sono immagini di scenari futuri, guidati solo da una gnosi per l’accoglienza e per la fiducia verso l’Unione europea in quanto dominus della soluzione.

I fautori di una visione non deterministica, confusi, brancolano nel buio, incapaci di dare una qualche forma al loro mondo futuro; capaci di ipotizzare soluzioni del tutto inefficaci, schiacciati da un presunto umanismo degli aperturisti domestici e da una filiera internazionale (da Soros, finanziatore di imbarcazioni Ong nel canale di Sicilia, alle Agenzie Onu, dalla Chiesa di Bergoglio, alla Grande Narrazione di Davos e alla tecnostruttura di Bruxelles).

Gravati da un accorto gesuitismo, che in nome dell’accoglienza è disposto a relegare migliaia di vite in un veloce storico oblio, ambedue gli schieramenti sfuggono a determinazioni che potrebbero concretizzare le proprie convinzioni e contenere l’ecatombe mediterranea. Invece, il fenomeno sembra essere condannato ad una sorta di coazione a ripetere ad un indefinito e incessante status quo. Se gli aperturisti sono per l’accoglienza perché pagare tributi alla morte? Potrebbero prevedere traghetti settimanali da Porto Said, Tobruk, Sfax risparmiando, oltretutto, su uno spropositato apparato di contrasto che ha solo funzione di rimorchiatore.

Se l’accoglienza è un valore universale, perché assistere impotenti ad una selezione fatta dal mare? Forse l’inconscio elabora: “accogliere sì, ma non tutti”. Altrimenti come spiegare, ad esempio, che in Gran Bretagna nello Yorkshire nella cittadina di Dewsbury non ci sono più cittadini bianchi britannici? (Nel 2011, su 4033 abitanti vi erano solo 48 persone bianche). E Birmingham, la seconda città inglese, ha il 34% di abitanti di religione cristiana e il 30% di islamici? Come spiegare le enclave islamiche londinesi di Stoke Newington e Bethnal Green?  Come spiegare che Molenbeek zona a ridosso del centro di Bruxelles, 30% di popolazione musulmana, è un attivo polo del fondamentalismo?  Come spiegare la scomparsa di francesi bianchi nelle zone del 10° arrondissement di Parigi che insistono verso la gare du Nord o la palpabile insicurezza verso la Chapelle nel 19° o nelle banlieue di Saint Denis e Sevran? Come spiegare che il semicentrale quartiere Vasto a Napoli è completamente governato da extracomunitari, con i loro mille commerci, anche per conto del crimine organizzato partenopeo?

Potrebbero, se evidenziassero difficoltà, complicazioni e problemi dell’integrazione, che, spesso, resta solo una suadente e dolce parola. Nello stesso tempo se gli “antideterministi” credono in un diverso futuro per l’Europa, se credono che sia urgente arrestare i naufragi, con grande determinazione, dovrebbero intervenire, in sintonia con le dirigenze africane, per rimuovere criticità, ostacoli, impedimenti e contrasti che alimentano il commercio delle traversate.

Esistono dei lager in Libia dove le donne vengono violentate e gli uomini torturati? Andrebbero soppressi in accordo con le autorità libiche, con risorse militari internazionali: un ruolo avrebbe potuto averlo l’ONU se non vivesse uno stato catatonico.

Certo ci sarebbe bisogno di una nostra politica estera, autorevole e credibile, non certa espressa, con numerose visite a Tripoli, da un qualsiasi Di Maio o da Meloni in cerca di idrocarburi.

Andrebbe sostenuto quel clero indigeno, il Cardinale guineano Robert Sarah ne è voce autorevole, che tanto si adopera affinché abbia cittadinanza anche il diritto di vivere nel proprio Paese.

Insomma, se gli sforzi sono indirizzati ad elaborare ingenue inutili strategie in prossimità degli sbarchi, forse si esaltano visioni di contrasto di prefetti divenuti ministri, ma inconsciamente si riconosce di non aver compreso la complessa tortuosa dinamica che avviluppa il fenomeno migratorio mediterraneo, ulteriore spia di un cammino ormai secolare che l’Europa ha intrapreso verso il tramonto della sua centralità politica, morale, religiosa.

Del resto, si spiega anche così il perpetuarsi di raccontatori che svelano un antico racconto e cantori che innalzano un ammaliato canto ad europeisti impassibili uditori.

*Vincenzo Olita, Direttore Società Libera

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