Rigurgiti del passato

L’ultima settimana è stata nera per l’Italia, poiché contraddistinta da giorni politicamente difficili, pervasi da un rigurgito nostalgico piuttosto imbarazzante. Lo stesso Santo Padre è stato al centro di due iniziative che hanno riportato le lancette del tempo indietro di almeno 80 anni. Eventi che hanno offuscato l’immagine di Pontefice progressista: di un Vaticano aperto ai popoli, nonché sensibile alle tematiche sociali causate dall’ineguaglianza tra le genti. 

I giorni passati, inoltre, hanno portato ad un ulteriore deriva la Costituzione. La Carta fondamentale è stata lasciata naufragare per decenni, grazie ai venti sfavorevoli delle incertezze applicative, ed ora è in balia di un governo che si mostra desideroso di rispolverare slogan, e simboli, provenienti dal passato (di cui pochi sentivano la mancanza). La Repubblica nata dalla Resistenza ha vacillato molte volte sotto i pesanti colpi inferti dagli apparati statali fedeli al regime mussoliniano, e la spallata finale appare oramai imminente.

La settimana scorsa sono stati convocati gli “Stati Generali della Natalità”, ossia l’appuntamento antiabortista annuale dedicato alla ricerca di soluzioni utili per mettere fine al calo italico delle nascite. Sul palco romano hanno preso posto la Premier e il Papa. L’onorevole Meloni non ha potuto fare a meno di cadere in alcuni esercizi retorici, prelevati direttamente dalla prima metà del secolo scorso, mentre il Santo Padre ha tentato di attraversare illeso un sentiero minato, indicando nella precarietà lavorativa, in cui vivono costantemente le giovani famiglie, la principale causa del calo demografico in corso. Papa Francesco ha anche ricordato i migranti, affermando che difendere una nuova vita equivale a salvare i profughi dal mare in tempesta: una faticosa, tortuosa, presa di distanza dal partito erede dell’Msi ed attualmente al potere.

L’evento, che ospitava anche bambini in sala (quali “testimoni della vita”), ha riconsegnato nelle mani degli italiani un modello di società che tende a riconoscersi in “Dio, Patria e famiglia”: procreare per mantenere alta la quantità di carne da cannone da spedire in battaglia; mettere al mondo figli per il bene della produzione consumistica globale.

“Dio, Patria e Famiglia”, torna prepotentemente in prima fila pure nei giorni della permanenza romana del Presidente ucraino, eletto al ballottaggio (è bene ricordarlo) con i voti determinanti dei suoi cittadini russofoni. Zelensky durante il suo incontro con il Presidente Mattarella, con la Presidente del Consiglio Meloni e con in Papa ha sfoggiato un look ricercato sin nei dettagli: i classici pantaloni della mimetica abbinati ad una felpa nera, su cui ricamato, in corrispondenza del cuore e della spalla, quello che a prima vista sembrava essere il classico tridente simbolo del Paese. Però, ad uno sguardo più attento, la sconcertante scoperta: il tridente era in realtà il segno identificativo dall’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, ossia il gruppo politico di estrema destra (filonazista, antisemita, antipolacco e anticomunista) fondato nel 1929 da Stepan Bandera.

L’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, infatti, ha semplicemente inserito un gladio nel simbolo nazionale, per poi mettersi a disposizione dei comandi nazifascisti all’indomani dell’invasione dell’URSS. Il suo leader Bandera, riabilitato nel 2010 dal Presidente Juscenko, che gli ha dedicato anche una statua oltre ad assegnargli l’ambita onorificenza di “Eroe dell’Ucraina” (in seguito revocata dalla Corte amministrativa distrettuale di Donec’k), è ritenuto responsabile del massacro attuato ai danni del popolo polacco e di gravi complicità nell’Olocausto antisemita ucraino. 

Il Presidente Zelensky ha forse voluto omaggiare, facendo sfoggio del gladio, l’ospitalità offerta dal nuovo governo italiano, ma probabilmente non sapendo che la sua Premier aveva rinnegato il fascismo tempo addietro. Quel simbolo cucito sulla felpa, e ritratto a fianco del Presidente Mattarella che fa gli onori di casa, dovrebbe far indignare tutti i “veri” democratici progressisti, compresi coloro che hanno immediatamente tifato per Kiev (malgrado le nefandezze compiute dal 2014 dal battaglione di ispirazione neonazista Azov) all’indomani dell’invasione russa. Al contrario, la Sinistra istituzionale continua ad appiattirsi sulle solite posizioni di assoluto appoggio militare; di sostegno verso un governo che non nasconde, ma anzi mette in bella vista, simpatie nostalgiche fasciste. Fondi e armi inviate ad un leader (accolto in tutta Europa con i massimi onori e considerato alleato imprescindibile) che si reca al Quirinale, a Palazzo Chigi e al Vaticano con addosso la mostrina di un partito che ha apertamente collaborato con la furia sterminatrice nazista.

L’informazione nostrana a fianco di Kiev nega l’evidenza, ossia qualsiasi legame tra il tridente con gladio e l’estrema destra ucraina, e non cambia linea editoriale neppure davanti ai reportage dell’incontro, successivo a quello romano, tra Zelensky e il leader tedesco Steinmeier. Evento in cui, magicamente, due bande colorate (blu e gialla) prendono il posto dello stemma disegnato per il partito fascista di Bandera.

Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’alleanza atlantica ha spesso alimentato il fuoco del nazionalismo per mettere i popoli dell’Est l’uno contro l’altro armati (l’ex Jugoslavia fu il primo grande banco di prova di tale scellerata strategia): il sostegno Occidentale ai Croati, che si richiamavano apertamente ai fascisti Ustascia di Ante Pavelic, ha quindi permesso di emarginare i serbi, ritenuti troppo vicini alla Russia.

Il fatto che la Destra sostenga la guerra, e la vittoria di Kiev, è scelta coerente sia con i valori in cui si riconosce il regime ucraino e sia con i desiderata statunitensi, ma l’atteggiamento dalla Sinistra è incomprensibile. È davvero inspiegabile una tale silenziosa sudditanza al volere di Biden, impegnato sin da quando era Vicepresidente a portare l’Ucraina nella sfera Nato, da parte di quei movimenti e partiti che hanno le proprie radici nella cultura del rispetto dei popoli (tutti i popoli), nel sostegno della pace, e soprattutto nella condanna di qualsiasi folle forma di nazionalismo.

Una Sinistra incapace di guardare i fatti internazionali nella loro globalità, muta di fronte alle violenze che dal 2014 insanguinano i territori russofoni dell’ucraina, nonché incline alla retorica di guerra, è destinata a estinguersi per “manifesta inutilità”.

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