SANITÀ

Sanità troppo debole ai confini:
8 milioni per cure "lombarde"

Il saldo tra mobilità attiva e passiva si è ridotto, ma pesa ancora sul bilancio della Regione. Il discusso limite imposto ai privati. Dal Pirellone accordi con l'Emilia-Romagna, non col Piemonte

Confini fragili, quelli del Piemonte, sul fonte della sanità nella battaglia contro le migrazioni verso altre regioni per farsi curare. Il saldo tra mobilità attiva e quella passiva, ovvero la differenza tra ciò che entra nelle casse della Regione per le cure prestate a non residenti e quello che esce per le prestazioni ottenute altrove dai piemontesi, si è ridotto rispetto a pochi anni fa, ma nel 2022 era ancora di otto milioni. La Lombardia il saldo lo ha positivo e per ben 232 milioni anche se più che dimezzato rispetto al biennio precedente, il Veneto tra uscite ed entrate alla fine di milioni ne ha incassato 172, l’Emilia Romagna 307 e per consolarsi, al Nord, da Torino non resta che guardare a Genova capoluogo di una regione che chiude con un saldo negativo di 52 milioni.

Se è vero che il fiume di denaro in uscita dal Piemonte diretto soprattutto verso la Lombardia si è ridotto circa a un decimo rispetto a cinque o sei anni fa, difficile non individuare la ragione di quel saldo ancora negativo proprio nelle aree di confine con la Lombardia (in misura assai minore con la Liguria) e nella loro debolezza quanto a offerta sanitaria. Complice e forse in alcuni casi utile alibi, il piano di rientro cui la sanità piemontese è stata sottoposta per circa sette anni, molti piccoli e medi ospedali nelle aree di confine sono stati colpiti di pesantissimi tagli: meno reparti, meno posti letto, cancellate parecchie specialità. Inevitabile che un flusso che già esisteva da quelle aree del Piemonte verso le regioni vicine s’ingrossasse in maniera importante. Dall’altra parte del confine, un sistema sanitario come quello lombardo in cui il privato pesa molto di più e molto di più conseguentemente risulta attrattivo ha fatto e continua a fare la differenza.

Se poi si aggiunge che il Piemonte continua a imporre un limite ai gruppi della sanità privata che operano sul territorio per quanto riguarda le prestazioni di media e bassa intensità, è facile comprendere come sia ancora difficile contrastare la concorrenza lombarda. Ma c’è un’altra vicenda che appare difficilmente spiegabile. Uno dei tanti decreti in materia sanitaria ha previsto i cosiddetti accordi con confine, sorta di protocolli sottoscritti dalle Regioni per stabilire i flussi delle mobilità e ridurre per quanto possibile le enormi disparità che tuttora ci sono. La Lombardia lo ha sottoscritto con l’Emilia-Romagna, ma non col Piemonte. Perché? Qui spiegazioni e ipotesi si incrociano. A quanto risulta, dal Pirellone sarebbe stata inviata alla direzione regionale della Sanità di corso Regina una bozza di accordo che, però, non avrebbe ricevuto risposta. Un’altra versione indicherebbe nell’inerzia della Lombardia, o addirittura nelle volontà di non fare l’accordo col Piemonte, il motivo del nulla di fatto.

“È una questione che va ripresa in mano e definita”, sostiene Il’assessore regionale del Piemonte Luigi Icardi affidando, pur senza dirlo chiaramente, questa incombenza al futuro direttore regionale. Altre novità potrebbero arrivare, sul fronte di un’attesa regolamentazione della mobilità, dall’accoglimento da parte del Governo di una serie di richieste della Conferenza delle Regioni, tra cui quella di limitare il ricorso a strutture al di fuori del territorio per prestazioni di bassa e media complessità negando il pagamento. Un’ipotesi “protezionista” di cui è difficile intravvedere una traduzione in pratica in tempi brevi, visto che ad alimentare le migrazioni anche per interventi di routine sono sempre più spesso le lunghe liste d’attesa.

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