Tu vuò fà l’americano

I candidati che concorrono per amministrare la città dimostrano generalmente una buona considerazione di sé stessi mentre elencano, nei comizi o davanti ai giornalisti, le promesse rivolte al loro elettorato. Durante le campagne che anticipano le urne spiccano i politici dalla risposta facile, coloro che giocano la carta giusta quando viene fatta una domanda complessa per il tema che pone: un quesito potenzialmente imbarazzante che costoro superano dimostrando grande destrezza. Chi si propone ai suoi concittadini nella veste di futuro sindaco deve passeggiare per i quartieri incontrando gli elettori, cosicché dimostrare di essere realmente tra le persone, e soprattutto di non temere eventuali contestazioni pubbliche.

L’avversario, di norma, viene descritto dal candidato come una persona incompetente, addossandogli (soprattutto se è il Sindaco uscente) una persistente inettitudine insieme a tutte le responsabilità su quanto di negativo è avvenuto nei 5 anni precedenti. L’attuale Giunta insediatasi nel 2021, in Sala Rossa, ha vinto portando una serie di pesanti attacchi alla precedente e annunciandosi, al contempo, squadra di governo dall’esperienza a prova di fallimento.   

In questi ultimi 20 mesi, però, i pensieri di tanti torinesi sono stati pervasi da dubbi sulle reali capacità dell’amministrazione comunale, facendo maturare in loro addirittura qualche perplessità sull’attitudine del Sindaco nell’affrontare i problemi che attanagliano la metropoli piemontese. Valutazioni piuttosto negative da parte dell’opinione pubblica che trovano un ampio, quanto involontario, riscontro in alcuni articoli pubblicati dai quotidiani. Uno, ad esempio, ha dedicato numerosi reportage alle lezioni che la nota Fondazione Bloomberg impartisce al sindaco Lo Russo, ospitato nelle sue aule di New York, e lo ha fatto usando toni a dir poco entusiastici (quasi a rimarcare che sia davvero necessario formare il primo cittadino).

A quanto pare tra l’amministrazione torinese e la Fondazione, nata dall’omonima multinazionale statunitense, è sbocciato un vero e proprio amore, dai tratti addirittura simbiotici, ed il futuro di Torino sembra destinato a legarsi indissolubilmente ai dossier che Bloomberg produrrà dopo averne studiato piazze e quartieri. Nell’esistenza dei torinesi è entrata improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, l’importante istituzione fondata negli anni ’80 da un politico repubblicano, diventato poi democratico e ora indipendente, che in passato ha rivestito il ruolo di sindaco della “Grande Mela”. Michael Bloomberg è inoltre considerato uno degli uomini più ricchi del mondo, essendo proprietario di un patrimonio che ammonta ad oltre 94 miliardi di dollari.

La multinazionale Bloomberg si occupa principalmente di comunicazione e media, ed è cresciuta creando un servizio mondiale di news, ossia fornendo alle testate giornalistiche le veline da pubblicare o da leggere ai telespettatori. La società americana produce quindi quell’informazione preconfezionata (un tempo si sarebbe definita “di regime”) usata per assestare il colpo mortale alla libertà di opinione e di stampa, per cui all’articolo 21 della nostra Costituzione. Ma oltre ad occuparsi della fabbrica delle “opinioni”, Bloomberg prepara anche il campo agli investitori statunitensi, aprendo nuove prospettive all’estero. Tramite la sua Fondazione, infatti, costruisce “percorsi” con le amministrazioni locali che contemplano, come nel caso di Torino, suggerimenti da adottare nella formazione dello strumento urbanistico.   

In conclusione è legittimo chiedersi se un sindaco che accetti di “studiare” alla Fondazione Bloomberg sia ancora coerente ai valori della collettività che ha deciso di rappresentare, oppure voglia raggiungere altri obiettivi poco conformi al programma grazie al quale ha vinto. Date le premesse occorrerebbe chiedersi se i corsi sulla comunicazione frequentati da Lo Russo siano spendibili in atti di persuasione dei cittadini, anziché in proposte di progetti partecipati, e infine se la multinazionale newyorkese abbia a cuore la realizzazione di profitti (legittimo per ogni società commerciale e finanziaria) oppure sostenga Torino per filantropia.

Torino si è sempre risollevata, con fatica e sacrificio, dalle tante crisi che l’ha attraversata nei secoli, inclusa la perdita del ruolo di Capitale del Regno d’Italia a vantaggio di Firenze, ma attualmente il rischio è quello che la città pedemontana si avventuri in un girone dantesco, dove tutto finisca a ruotare intorno alla speculazione e all’imitazione (maldestra) della Milano chic ed esclusiva.

Un esempio è fornito da quanto avvenuto agli immobili della Galleria Subalpina, sui quali sono caduti gli interessi degli investitori americani. Le conseguenze sono tangibili: molti negozi storici, tra cui la Casa del Libro, non sono riusciti ad adeguarsi al rincaro degli affitti e sono stati costretti a chiudere i battenti.

Coloro che ricordano la Torino operaia, quella della solidarietà e di Gramsci, guardano con speranza a una città inclusiva, di tutti, dove si possa vivere, godendone le bellezze, pur non essendo donne o uomini d’affari, speculatori o capitani della finanza. Probabilmente la visione urbanistica degli studenti di Bloomberg sarà decisamente un’altra: un centro storico trasformato in fortino per benestanti e tutto intorno una grande periferia simile a un ghetto.

Buono studio, Sindaco Lo Russo.

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