STUDIO

Il Piemonte invecchia, ma li porta bene

Gli anziani sono sempre di più, però stanno meglio e sono pure diventati tecnologici. L'economia regionale tiene, grazie a export e costruzioni. Cresce l'utilizzo di alcol e psicofarmaci tra la popolazione. Attenzione: l'ascensore sociale è rotto. Il report di Ires

“L’economia bene”, sintetizza il direttore di Ires Angelo Robotto che ricorda come il Piemonte l’anno scorso sia cresciuto più della media nazionale, la disoccupazione è scesa dal 6,1% al previsto 5,5% nel 2024, l’export cresce e il turismo supera i livelli del 2019. Dati in linea con quelli della Banca d’Italia coi quali i ricercatori del centro studi regionale hanno collaborato prima di ultimare la relazione presentata questa mattina al foyer del Teatro Regio di Torino.

INVECCHIAMENTO - Se i principali indicatori sono soddisfacenti, allungando lo sguardo si staglia l’ombra della crisi demografica, che a breve promette di riversarsi sul sistema economico. Gli anziani aumentano: gli over 65 piemontesi sono 1,125 milioni oggi e saranno 1,384 milioni nel 2044, mentre la fascia di popolazione tra i 15 e i 64 anni scenderà dai 2,622 milioni di quest’anno ai 2,174 milioni del 2044 (quasi mezzo milione in meno). Va detto però che gli anziani stanno meglio, vivono più a lungo e in salute, e i titoli di studio sono molto più elevati rispetto a qualche anno fa. Se dieci anni fa solo uno su cinque utilizzava tecnologie digitali, oggi siamo al 70 percento. La speranza di vita del Piemonte è di 83 anni, praticamente pari alla media italiana, ma quella di “vita in buona salute” si attesta un anno sopra la media (60,1 contro la media nazionale di 59,1). Resta però sei mesi al di sotto rispetto alle regioni del Nord del Paese.

STILE DI VITA - In Piemonte si fuma di meno rispetto alla media Paese, ma se il tabacco è diminuito allarma “l’aumento significativo della sigaretta elettronica”. I piemontesi bevono: il consumo a rischio di bevande alcoliche è del 20% in Piemonte, mentre la media nazionale si attesta al 15,6%. Ma hanno meno problemi di peso delle altre regioni italiane, rispetto alle quali si differenziano anche per l’abbondanza di frutta e verdura nella dieta, e per uno stile di vita meno sedentario.

SALUTE MENTALE - La salute ormai diventa sempre più salute mentale. Se l’indice di salute mentale trova il Piemonte in media con l’Italia ma messo peggio rispetto alle regioni del nord, c’è il dato sull’utilizzo di psicofarmaci a preoccupare, soprattutto tra giovani e donne. Dai 15 ai 19 anni gli studenti che li usano sono passati dal 7,2% al 11,4% in Piemonte, un dato non lontano ma comunque superiore alla media Paese (6,6% nel 2019 cresciuto a 10,8% del 2022). I numeri però schizzano in alto tra le ragazze: per l’elaborazione Ires su dati Espad sono più del 16% le studentesse donne tra i 15 e i 19 anni che hanno usato psicofarmaci nel 2021, il dato più recente a disposizione. E il trend vede il dato in crescita costante.

FORMAZIONE - I ricercatori sottolineano il problema dell’ascensore sociale rotto, che comincia da piccoli. I cosiddetti “low performer”, gli studenti che non raggiungono livelli di apprendimento adeguati nel primo ciclo di scuola, è al 40% per la matematica e al 36% in italiano. Ma se guardiamo a coloro che partono da uno svantaggio socioeconomico si arriva al 60% in matematica e addirittura al 61% in italiano. Anche perché i ricercatori Ires collegano il risultato dei test Invalsi piemontesi al fatto che i più poveri sono spesso anche i figli degli immigrati, che con la lingua faticano certamente di più. “Abbiamo il 10% di popolazione di origine straniera ma non la stiamo valorizzando al meglio”, insistono i ricercatori.

Coi giovani in diminuzione poi serve allocarli al meglio. Il 25% dei laureati ritiene che quanto appreso sia inutile rispetto al lavoro che svolgono. Ma il problema non è solo a livello accademico. Anche se in Piemonte rimane una vocazione manifatturiera, negli ultimi 15 anni si è registrata una diminuzione delle iscrizioni negli istituti tecnici e professionali, e questo secondo i ricercatori Ires è tra le ragioni del mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Bisogna anche facilitare il passaggio dagli ITS all’università, spiegano i ricercatori, oltre a far capire che gli istituti tecnici non sono un ripiego rispetto ai licei.

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