LA SACRA RUOTA

Fiat, 125 anni tra miti e misteri. Agnelli fondatore "per caso"

Oggi, con dosi industriali di saliva e colpevoli amnesie, tutti a celebrare il compleanno dell'impresa che ha fatto l'Italia. La storia di una famiglia intrecciata a quella del Paese. La spregiudicatezza del capostipite e quelle pagine buie che nessuno vuole rievocare

Che Giovanni Agnelli fosse il più sveglio dei nove gentiluomini che martedì 11 luglio 1899 firmarono l’atto costitutivo della Fiat non vi è ombra di dubbio. Che l’ex ufficiale di cavalleria avesse colto i segni dei tempi, intuendo tra i primi che di lì a poco i cavalli a vapore avrebbero soppiantato quelli a quattro zampe, è altrettanto assodato. Che il rampollo di una borghesia alle prime mosse incarnasse l’homo novo capace di sbaragliare una aristocrazia polverosa avviata alla sua inarrestabile decadenza è un fatto storico. Ad essere assai meno noto e, soprattutto avvolto da più di un mistero, è il percorso che ha portato il capostipite di una dinastia che ha segnato nel bene e nel male più di un secolo di storia patria a diventare “il” fondatore della più importante industria italiana.

Già perché Giovanni Agnelli entrò solo all’ultimo momento tra i soci fondatori e firmatari dell’atto di costituzione della Fiat. Consigliato dall’amico Ludovico Scarfiotti, il futuro senatore del Regno in quel martedì di luglio del 1899 prese il posto lasciato libero, all’ultimo momento, dall’imprenditore Michele Lanza, ritiratosi dall’impresa perché in disaccordo con la decisione di escludere l’imprenditore Giovanni Battista Ceirano che, a buon titolo, va annoverato come l’autentico pioniere dell’industria automobilistica italiana. Con la sua azienda, la Società Accomandita G. Ceirano e Comp., nata nell’ottobre del 1898, aveva iniziato a produrre seppur artigianalmente la vetturetta Welleyes. Tra i sostenitori di Ceirano c’erano il conte Emauele Cacherano di Bricherasio e l’imprenditore Cesare Goria Gatti.

Il nonno dell’Avvocato Gianni Agnelli e trisavolo di John Elkann pensava in grande ma ancor più aveva spregiudicatezza da vendere. Il suo piano era di inglobare in Fiat le conoscenze, i brevetti, le attività e gli ingegneri della casa automobilistica Ceirano, senza però coinvolgerne il fondatore. Così nella stessa giornata della nascita di Fiat i soci decidono di acquistare per 30.000 lire la Società Accomandita G. Ceirano e Comp., una cifra che rivalutata a oggi corrisponde a circa 153.000 euro. Per farla breve, gliela portano via. Ma non sarà l’unico e forse neppure il più eclatante dei colpi di mano che consentirono a Giovanni Agnelli di diventare in poco tempo l’unico padrone. Infatti, tra benserviti più o meno consensuali e spregiudicate manovre finanziarie (con tanto di processo per “illecita coalizione, aggiotaggio in borsa e falsi in bilancio” finito in nulla con il perito dell’accusa passato alle dipendenze della Fiat), tutti i soci delle origini e molti che nelle varie fasi storiche si sono avvicendati sono stati spazzati via. Una storia costellata fin dall’inizio da eventi misteriosi, come la morte del conte Bricherasio, avvenuta in circostanze oscure e su cui furono fatte indagini affrettate.

Ma torniamo a quel giorno di 125 anni fa. I nove soci, dopo una serie di incontri preparatori al Caffé Burello, si ritrovano a palazzo Bricherasio, versano un capitale sociale di 800.000 lire diviso in 4.000 azioni con il sostegno finanziario del “Banco di Sconto e Sete” di Torino. Rivalutata al 2024 questa somma corrisponde a circa 4,1 milioni di euro. Il momento viene ricordato dal pittore Lorenzo Delleani nel quadro “I fondatori della Fiat”. Ci sono Giovanni Agnelli, il conte Roberto Biscaretti di Ruffia, il conte Emanuele Cacherano di Bricherasio, il banchiere Michele Ceriana Mayneri, l’agente di cambio Luigi Damevino, il marchese Alfonso Ferrero de Gubernatis Ventimiglia, Cesare Goria Gatti, l’avvocato Carlo Racca e il “possidente” Ludovico Scarfiotti. Al centro della scrivania c’è Emanuele Cacherano di Bricherasio mentre il secondo e terzo da destra sono rispettivamente Scarfiotti e Agnelli. Viene eletto presidente Scarfiotti, amministratore delegato è Giovanni Agnelli e la direzione tecnica va ad Aristide Faccioli, ingegnere ex Ceirano, che progetterà il primo modello del marchio, quella Fiat 3½ HP del 1899 che viene prodotta in ventisei esemplari col nome di Fiat 4 HP.

Il XIX secolo sarà il secolo “ferrigno” e l’età delle bronzine segnerà le vicende del Paese e le fortune della Famiglia, ormai inscindibilmente intrecciate: nelle due grandi guerre (che furono volano di consolidamento industriale e incrementarono il patrimonio), nel rapporto ambiguo col Fascismo dettato da uno dei principi cardine della Fiat, sempre “filogovernativa”, nello scarrozzare il “miracolo italiano” durante gli anni del boom economico, in quell’intrico di relazioni conflittuali ma a loro modo simbiotiche con la sinistra “operaista”, fino al recente declino. L’età dell’oro della Fiat terminò alla fine degli anni Ottanta con la crisi dell’industria automobilistica torinese e di un modello quello taylorista-fordista cui un management di scarsa qualità e una proprietà autocratica e famelica solo di potere non seppero opporre un’alternativa.

All’inizio del nuovo millennio, la Fiat affrontò una grave crisi finanziaria che portò a una drastica riduzione delle vendite e alla necessità di una ristrutturazione. A salvare il Gruppo fu Sergio Marchionne, nominato amministratore delegato nel 2004, che giocò un ruolo cruciale nella rinascita dell’azienda. Con una visione strategica chiara, focalizzò i suoi sforzi su una ristrutturazione aggressiva e su nuovi modelli di successo, portando il gruppo fuori dalla crisi e rilanciando il marchio a livello internazionale. Nei piani del manager col maglioncino c’era quello di trasformare la Fiat nel secondo gruppo automobilistico mondiale, cercando di acquisire altre case automobilistiche. All’iniziale 20% di Chrysler del 2009, arriva a conquistare prima il 58,5% nel 2012 e poi il 100% nel gennaio 2014. Nacque così Fca, Fiat Chrysler Automobiles. La fusione effettiva avvenne il 12 ottobre 2014, con sede legale in Olanda e domicilio fiscale nel Regno Unito. Nel 2015, Marchionne propose una fusione con General Motors, che venne respinta, e pianificò un’offerta pubblica d’acquisto, poi abbandonata. Nel 2019, Fca cercò una fusione con Renault che avrebbe creato il terzo gruppo automobilistico mondiale. Nonostante l’interesse di Renault, la proposta venne ritirata a causa delle condizioni imposte dal governo francese e delle incertezze di Nissan. Fu l’ultimo sussulto per tentare di giocare un ruolo da protagonisti. La prematura scomparsa impose una scelta – la cessione mascherata da “fusione” con la francese Psa e la nascita di Stellantis – i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma la storia, seppur alle battute finali, non è ancora finita.

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