Vende i gioielli per non mettere mano al portafoglio. Cairo: zeru tituli e conti in rosso
11:26 Martedì 27 Agosto 2024Invitato dalla tifoseria a farsi da parte, il patron granata replica di aver investito 72 milioni ma dai bilanci emerge una realtà un po' diversa. A partire dai debiti e dalle plusvalenze. E nessuna prospettiva di futuro. La lunga serie di cessioni. Le domande a Berluschino
Il Toro non è un buon affare, almeno sulla carta. Eppure, Urbano Cairo non ha alcuna intenzione di passare la mano. A dispetto dei sempre più pressanti inviti ad andarsene – “Cairo vattene” è ormai il refrain delle proteste di una tifoseria che vede umiliata una storia gloriosa e non vede speranze per il futuro – l’editore alessandrino si tiene stretta la società granata. Senza un’apparente convenienza economica e, a meno di non credere a sfuggenti ragioni “di cuore”, i numeri non forniscono una risposta convincente all’interrogativo che tutti, non solo nel mondo pallonaro, si pongono: perché non molla?
Nella sua gestione quasi ventennale, con una bacheca sportiva tristemente sguarnita di trofei, la società, senza capitali propri, si regge su debiti e rivalutazioni e le entrate più sostanziose sono dovute alle ricche plusvalenze derivate dalla vendita costante di calciatori cresciuti all’ombra della Mole che hanno incrementato il loro valore per opera di alcuni apprezzati allenatori (Gian Piero Ventura e Ivan Juric su tutti). In sintesi, per quanto brutale: Cairo fa debiti e vende l’argenteria di casa per non mettere mano al portafoglio. Una nomea, quella del taccagno dal braccino corto, affibbiata fin dai suoi esordi negli affari, dopo l’apprendistato sotto Silvio Berlusconi: abile a comprare con i soldi degli altri. E il Toro non ha fatto eccezione. Come ricorda l’avvocato Pierluigi Marengo, colui che salvò la squadra dalla sparizione nel 2005 e che cedette a Cairo le quote a una cifra simbolica: il 100% per la somma di 10mila euro (10 assegni da 625 euro per ciascun lodista). Da quel momento il Toro diventa inscindibile con il resto del piccolo impero di Berluschino, sempre con il consueto modus operandi: nessun investimento diretto a valorizzare patrimonio societario e valore sportivo. Tanto per dire, il primo aumento di capitale di 10 milioni lo fece fare a Reale Mutua. Una società più che granata “rossa”, come le scritture contabili: ininterrottamente per 7 esercizi, dal 2005 al 2012, proseguito salvo la parentesi tra il 2013 e il 2017 (periodo in cui si registra un utile di qualche milione) fino al 2023.
Alcuni esempi degli investimenti di Cairo sulla squadra sono nelle numerose operazioni di mercato della sua gestione: la cessione di Grella a 5 milioni per prendere Saumel a zero, via Dzemaili a 9 milioni per prendere Coppola in prestito, addio a Rosina per 10 milioni più bonus per prendere Belingheri a 1,5 milioni. E ancora: vendette Comotto a 7 milioni per prendere Colombo a 2, Glick per 10 milioni sostituito da Castan in prestito, cessione di Maksimovic per 27 milioni sostituito da Rossettini (2 milioni), Darmian lascia il Toro facendo incassare al club 19 milioni, Cairo ne reinveste 6 per acquistare Zappacosta. Lo stesso Zappacosta che poi viene venduto al Chelsea per 28 milioni così da poter prendere Ansaldi a 3. Fino ai pezzi più pregiati degli ultimi anni come Bremer (venduto alla Juventus per 49 milioni), Buongiorno (al Napoli per 35) e Bellanova (all'Atalanta per 25).
A detta degli analisti potrebbe essere di qualche interesse la lettura sinottica e contestuale dei bilanci del Toro e quelli delle altre società del gruppo. Al momento ci soffermiamo sugli ultimi bilanci disponibili della galassia granata – quelli al 31 dicembre 2023, tanto del Torino Football Club Spa, quanto della sua controllante U.T. Communications Spa – da quali sorgono naturali alcune prime domande sulle recenti affermazioni del presidente Cairo e sullo stato di salute della società.
1. Come mai, nonostante il presidente dica di avere investito 72 milioni di euro e di non essere un pozzo senza fondo, il bilancio della sua holding indica in 40,8 milioni il valore di carico della partecipazione del 100% delle azioni del Torino F.C.?
2. Come mai Cairo nel corso del 2023 ha finanziato il Torino per 10 milioni di euro ad un tasso d’interesse del 3,8%, in luogo di pagare gli importi che dal bilancio 2023 risultano a credito verso società controllanti (15,5 milioni di euro) e verso società sottoposte al controllo delle controllanti (3,3 milioni di euro) che permangono iscritti dell’attivo?
3. È corretto affermare che, in assenza della rivalutazione del marchio “Torino Calcio”, operata nel bilancio 2020, per 56 milioni di euro circa, al netto del fondo imposte differite (15,8 milioni di euro), il patrimonio netto della società, oggi ridottosi a 4,3 milioni di euro, sarebbe negativo per 36 milioni di euro circa, con la conseguenza che il presidente avrebbe dovuto evidentemente ricapitalizzare la società?
4. È corretto affermare quindi che, acquistando il Torino, il presidente si è trovato un patrimonio intangibile di almeno 56 milioni di euro, rappresentato dal marchio “Torino Calcio” che, peraltro, ha deciso di non riallineare fiscalmente, risparmiando un’imposta sostitutiva molto contenuta del 3% (1,7 milioni di euro circa), con la conseguenza di dover iscrivere il fondo imposte differite di 15,8 milioni di euro?
5. Le recenti vendite di calciatori derivano dall’esigenza di far fronte in autofinanziamento alla cosiddetta posizione finanziaria netta del Torino F.C. che, al 31 dicembre 2023, risultava decisamente negativa: circa 43,7 milioni di euro verso il sistema bancario, 10 milioni di euro verso la controllante e 24,3 milioni di euro verso l’erario (di cui 4,5 milioni correnti), e così complessivamente -78 milioni di euro (o -73,5 milioni di euro considerando i debiti correnti)?
6. È corretto affermare che, in assenza del provvedimento agevolativo che ha permesso alle società sportive di rateizzare i versamenti delle ritenute alla fonte e dell’Iva al 31 dicembre 2022, il Torino F.C. avrebbe dovuto finanziare il debito erariale che nel periodo Covid aveva raggiunto oltre 28 milioni di euro, mediante ulteriori cessioni, nuovi finanziamenti o aumenti di capitale?
7. È corretto affermare che gli ultimi due bilanci del Torino F.C. permettono la contabilizzazione di un Ebitda positivo (20,7 milioni di euro nel 2023 e 22,8 nel 2022) solo grazie alle plusvalenze derivate dalla cessione dei giocatori (23,2 milioni di euro nel 2023 e 38,3 nel 2022 e così per complessivi 61,5 milioni di euro circa, a cui si aggiungeranno nel 2024 le plusvalenze di Bongiorno (35 milioni di euro) e di Bellanova (18 milioni di euro, ipotizzando un valore di carico di 7 milioni di euro)?
8. Qual è il valore corrente di una società che ha un Ebitda medio negli ultimi due anni di 21, 8 milioni di euro, peraltro generato in larga parte dal mercato, ed una posizione finanziaria netta di -73,5 milioni, considerando che il marchio è già stato rivalutato per 56 milioni di euro e il parco calciatori risulta a bilancio per 71,8 milioni di euro?
9. Qual è l’effettivo ritorno in termini di visibilità per il presidente Cairo ed il suo gruppo, tenuto conto che, dal bilancio 2023, i ritorni economici sarebbero limitati a soli 127mila euro per commissioni, 100mila euro per servizi amministrativi e 98mila euro per interessi attivi, oltre alla quota di competenza dei ricavi pubblicitari per la concessionaria che sembrerebbe pari a 785 mila euro?
10. Qual è il reale interesse della controllante U.T. Communications per il Torino F.C. atteso che il bilancio consolidato 2023 della holding evidenzia ricavi per 1,1 miliardi di euro, un Ebitda di 189 milioni di euro ed un risultato netto di 53 milioni di euro, con un patrimonio netto complessivo di 946 milioni di euro?