ECONOMIA DOMESTICA

Affitto, bollette, cibo e tasse: quasi la metà dello stipendio

Nel 2024 le spese "obbligate" si mangiano il 41,8% dei consumi delle famiglie: 4.830 euro pro capite per l'abitazione e 1.721 euro per energia, gas e carburanti. Sangalli (Confcommercio): "Occorre ridurre progressivamente, e in modo strutturale, il carico fiscale"

Su 100 euro guadagnati, 40 se ne vanno in “spese obbligate”, cioè affitto, bollette, cibo e tasse. Lo rileva l’ufficio studi di Confcommercio che ha passato al setaccio l’andamento delle spese delle famiglie italiane dal 1995 a oggi. Complici anche le spinte inflazionistiche, l’incidenza delle spese obbligate sui bilanci familiari è elevata: per il 2024, infatti, la quota di queste spese sul totale dei consumi delle famiglie sfiora il 42%, con un incremento di oltre 5 punti dal 1995 ad oggi. Quota che non sembra destinata a tornare al livello pre-Covid pari a circa il 40%.

Dall’analisi emerge che, su un totale di circa 21.800 euro pro capite di consumi all’anno, oltre 9mila euro se ne vanno per il complesso delle spese obbligate, 348 euro in più rispetto al 2019. Tra queste spese, a farla da padrone è la voce abitazione con 4.830 euro, al cui interno un peso rilevante – anche se costantemente in calo dal 1995 ad oggi – viene dall’aggregato energia, gas e carburanti con 1.721 euro. Ad amplificare la dimensione e, quindi, il peso delle spese obbligate è anche la dinamica dei prezzi che mostra una notevole difformità rispetto a quella degli altri beni e servizi: tra il 1995 e il 2024, infatti, l’indice di prezzo degli obbligati (+122,7%) è cresciuto più del doppio rispetto a quello dei beni commercializzabili (+55,6%), dinamica influenzata anche da un deficit di concorrenza tra le imprese fornitrici di beni e servizi obbligati.

“Le spese obbligate, soprattutto quelle legate all’abitazione, penalizzano sempre di più i bilanci delle famiglie e di conseguenza riducono i consumi. Consumi che sono la principale componente della domanda interna. Per sostenerli occorre confermare l’accorpamento delle aliquote Irpef e ridurre progressivamente, e in modo strutturale, il carico fiscale”, commenta il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli.

Il messaggio chiaro che emerge dalle elaborazioni (e dalle stime riferite al 2024) – spiega Confcommercio – è che a causa di prezzi fortemente crescenti e di quantità che si riducono meno che proporzionalmente, l’aggregato delle spese obbligate occupa quote crescenti del bilancio familiare. E, cosa alquanto preoccupante, non sembra si ritornerà al 40% circa del 2019. Rispetto alla scorsa edizione la valutazione della quota delle spese obbligate per il 2023 passa dal 41,5% all’attuale 42,2%, con una moderata riduzione, comunque al 41,8%, per il 2024. Potendo, poi, immaginare, nell’orizzonte del prossimo biennio, un ritorno dei servizi commercializzabili oltre il 21% grazie ai turismi attivi (italiani in Italia e stranieri in Italia), si capisce che – evidenzia l’analisi – lo spazio per i beni commercializzabili, quelli che in larga parte passano dai negozi fisici, è destinato a ridursi ulteriormente. Le strutture commerciali che producono servizi di prossimità nelle nostre città, e soprattutto nei centri storici, saranno ancora di più sotto pressione, tenuto conto anche del continuo sviluppo del commercio online che prevediamo si rafforzerà ulteriormente.

Permangono problemi di offerta. In particolare, di concorrenza tra imprese che offrono beni e servizi che fanno parte dell’aggregato dei consumi obbligati. Le dinamiche di lungo termine sono inequivocabili: pure al netto di importanti fenomeni sociali e demografici – famiglie più piccole, crescita dei metri quadrati di abitazione disponibili pro capite, invecchiamento in buona salute della popolazione anziana – resta il fatto che il deflatore degli obbligati in trent’anni è cresciuto molto più del doppio di quanto sia aumentato l’indice di prezzo per i beni commercializzabili. Sul benessere economico – o sul disagio sociale, cambiando il segno all’effetto – questo fenomeno ha avuto certamente un impatto significativo, quando, per chi e quanto ha ridotto la libertà di scelta sui consumi.

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