Statali più malaticci dei privati, ma guariscono in un baleno
09:37 Sabato 31 Agosto 2024Rispetto ai lavoratori del settore privato marcano visita più spesso: il 33% è restato a casa almeno un giorno contro il 22% degli occupati nelle imprese. Le assenze sono brevi, molte nei mesi estivi e con picchi nel periodo invernale. Ci si ammala maggiormente al Sud
I dipendenti pubblici sono più cagionevoli dei lavoratori delle imprese private. Una tendenza storica che trova una ulteriore conferma anche dalla lettura delle statistiche relative alle assenze per malattia degli ultimi 7 anni realizzata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre su dati Inps. In questo periodo, infatti, l’incidenza percentuale degli assenti per ragioni di salute sul totale dei lavoratori del comparto è quasi sempre stata superiore tra gli “statali” che tra i dipendenti del privato. Solo in due occasioni, nel 3° trimestre del 2021 e del 2022, la situazione si è capovolta. In linea di massima, per entrambi i settori il picco minimo di assenze per malattia si verifica stabilmente durante i mesi estivi (luglio-settembre), mentre la soglia massima viene quasi sempre raggiunta in pieno inverno (gennaio-marzo).
Nel 2024 l’incidenza delle assenze per malattia nel pubblico molto più alte che nel privato. Anche nei primi due trimestri del 2024, il differenziale tra i due settori è stato molto significativo. Se tra gennaio e marzo di quest’anno il 33 per cento dei dipendenti pubblici è rimasto a casa almeno un giorno per malattia, tra i privati la quota è stata del 22 per cento; nel 2° trimestre, invece, per i primi la soglia delle assenze è scesa al 26 per cento e per i secondi al 18 per cento.
In linea di massima, possiamo affermare con buona approssimazione che i lavoratori del pubblico impiego si ammalano più dei privati, ma i giorni medi di assenza dei primi sono leggermente inferiori ai secondi. Insomma, quando si lavora per lo Stato ci si ammala più frequentemente, anche se si registrano tempi di guarigione più veloci, in particolare nelle regioni del Sud. Ora, supporre che dietro una breve malattia si nasconda un comportamento assenteista è molto suggestivo, ma difficilmente dimostrabile. Tuttavia, dopo la crisi pandemica del 2020/2021, il numero dei licenziamenti nel pubblico impiego per assenze ingiustificate è tornato ad aumentare. Sebbene l’incidenza di coloro che vengono lasciati a casa per “infedeltà” sul totale dei lavoratori del pubblico impiego sia pari a un misero 0,01 per cento, nel 2018 sono state licenziate 196 persone per assenze ingiustificate o falsa attestazione della presenza in servizio. Nel 2019 il numero è salito a 221, mentre nel 2020 e nel 2021 – anni caratterizzati dal Covid e da un largo impiego dello smart working – lo stesso è sceso rispettivamente a 188 e a 161. Nel 2022, infine, i licenziamenti sono tornati a crescere e hanno raggiunto quota 310 (+58,1 per cento rispetto al 2018).
Dall’analisi del numero di giorni di malattia registrato nel 2023, in Italia il dato medio è stato pari a 8,5; se nel settore pubblico si è attestato a 8,3, nel privato è stato leggermente superiore e pari a 8,6. In tutti i casi, comunque, rispetto al 2017 la situazione è in netto miglioramento: il dato medio nazionale, ad esempio, è sceso del 16 per cento. Le differenze a livello regionale sono comunque molto marcate. La regione dove i lavoratori sono più “acciaccati” è la Calabria; chi si è ammalato è rimasto a casa mediamente 15,3 giorni (9,6 giorni l’assenza dei dipendenti pubblici e ben 18,8 degli occupati nel privato). Praticamente il doppio di quanto registrato in Emilia-Romagna e in Veneto, che, invece, hanno entrambe “cumulato” 7,8 giornate medie di malattia. Il Piemonte è sostanzialmente attestato sulla media nazionale: 8,6 giornate.
Dopo la Calabria, i lavoratori più “malaticci” d’Italia sono quelli della Basilicata con 10,2 giornate medie di assenza. Seguono gli occupati della Valle d’Aosta con 9,7, della Sardegna con 9,6 e del Molise con 9,4. Rispetto al 2017, in tutte le regioni il numero delle giornate medie di assenza per malattia è in calo, con punte del -20 per cento proprio nel Mezzogiorno (addirittura -23 per cento in Calabria).