RIFORMA

Montagna, l'Unione non fa la forza. Nuova governance per le terre alte

In Piemonte si lavora a una riforma dell'assetto amministrativo. "Oggi sono enti troppo fragili, ostaggio della volubilità di questo o quel sindaco", spiega Bussone dell'Uncem. L'assessore regionale Gallo pronto a coinvolgere le minoranze

Settecentocinquantamila abitanti sparsi in 550 comuni. La montagna rappresenta quasi la metà del territorio piemontese (il 45%) e contribuisce alla crescita economica realizzando il 13 per cento del pil, tuttavia il sistema istituzionale che la governa è inefficiente, si presta a distorsioni e non favorisce economie di scala tra comuni sempre più piccoli e sempre più in difficoltà a fornire servizi di base e fronteggiare lo spopolamento. Per il presidente dell’Uncem (l’Unione dei comuni montani) Marco Bussone “serve una riforma” e in tempi piuttosto rapidi. L’ultima risale a più di dieci anni fa, la Legge Maccanti che recepiva quella della giunta di Mercedes Bresso: le comunità montare sparivano a favore delle “Unioni”, un cambio lessicale che si è riprodotto anche nella sostanza. Ora tocca ad Alberto Cirio.

All’inizio di agosto il nuovo assessore alla Montagna Marco Gallo ha incontrato il numero uno dell’Uncem del Piemonte Roberto Colombero per iniziare a discutere di un nuovo assetto. “Bresso aveva ridotto gli enti da 48 a 22, oggi abbiamo 55 unioni montane” spiega ancora Bussone. E non mancano i casi limite come l’Unione montana della Val Casotto: due municipi, Garessio e Pamparato, 1.800 abitanti in tutto, si sono staccati dall’ente dell’Alta Val Tanaro e ora viaggiano per conto loro. Impossibile anche solo immaginare economie di scala. Anche Barge e Bagnolo – tra Pinerolese e Cuneese – si sono fatti l’Unione montana autonoma. E che dire di Martiniana Po che alla fine del 2021 ha mollato l’Unione del Monviso per aderire a quella delle Alpi del Mare: “Costi troppo alti e inefficienza” tuonò allora il sindaco spiegando il trasferimento. Ogni giorno ha la sua pena, distorsioni di un sistema nato per garantire efficienza e flessibilità e che spesso è diventato ostaggio degli umori di qualche sindaco. Anche Vco e Alessandrino vivono una eccessiva frammentazione, mentre tra gli esempi virtuosi si annovera la Valsesia, un’unica valle riunita in un’unica unione montana.  

La posizione dell’Uncem è chiara: “Abbiamo degli enti troppo fragili, soggetti alla volubilità politica di questo o quel sindaco. Da un giorno all’altro un comune può decidere di farsi la propria unione con un altro oppure di trasferirsi sotto un altro ente, anche in assenza di contiguità territoriale. Il tema non è tornare alle comunità montane o lasciare le unioni, ma trovare un modo per rendere più stabili questi enti” afferma ancora Bussone. Il Piemonte è tra le regioni che ottiene più denaro dal fondo nazionale (23 milioni sui 196 complessivi l’anno scorso cui si aggiungono i 12 milioni del fondo regionale più 500mila euro per le scuole di montagna). Il paradosso è che non ha la struttura istituzionale per investire al meglio queste risorse. Le unioni non dispensano solo servizi, hanno anche il compito di promuovere interventi contro il dissesto idrogeologico e lo sviluppo locale “ma come si fa ad accendere un finanziamento per investimenti sul territorio se l’ente è così fragile?” si chiede Colombero. Domanda retorica, risposta scontata. Un’unione oggi c’è domani rischia di saltare per una lite tra i primi cittadini che ne fanno parte.

Un tema ben chiaro anche all’assessore Gallo: “Dobbiamo rafforzare e stabilizzare questi enti, sono gli stessi amministratori che ce lo chiedono perché oggi le unioni non riescono a promuovere una politica di sviluppo della montagna”. Ne ha già discusso con il collega agli Enti locali Enrico Bussalino. L’Uncem chiede inoltre al centrodestra di aprire una discussione anche con le minoranze in Consiglio perché “la montagna non ha colore politico”, l’assessore apre la porta: “Il principio è sacrosanto, studieremo il sistema migliore per coinvolgere anche le altre parti politiche”.

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