POLITICA & GIUSTIZIA

"Smog a Torino, cos'altro potevano fare?". Il giudice smonta le accuse ad Appendino, Chiamparino e Fassino

Nelle motivazioni della sentenza di luglio, Ruscello illustra il perché dell'assoluzione a tutti gli imputati nel processo per l'aria inquinata del capoluogo. "Non è stata dimostrata l'efficacia di alcuna misura alternativa"

“All’interno del materiale raccolto nel corso delle indagini non si rinvengono (…) elementi utili a stabilire con un minimo grado di certezza quali eventuali misure di segno diverso adottate dagli esponenti della Regione Piemonte e della Città di Torino avrebbero portato a un contenimento dei livelli di concentrazione degli inquinanti al di sotto dei valori limite e avrebbero quindi impedito la verificazione dell’evento secondo la logica seguita dall’accusa”. In una frase delle 38 pagine di cui si compongono le motivazioni dell’assoluzione di tutti gli imputati nel processo per smog a Torino, il giudice Roberto Ruscello sintetizza la sterilità dell’impianto accusatorio.

Tra gli imputati c’erano gli ex sindaci Chiara Appendino e Piero Fassino, l’ex governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, ma anche gli assessori che hanno avuto delega all’Ambiente nelle loro giunte: Alberto Unia, Stefania Giannuzzi, Enzo Lavolta e Alberto Valmaggia. Per loro i pubblici ministeri Vincenzo Pacileo e Gianfranco Colace avevano disposto la citazione diretta a giudizio. Il reato contestato era inquinamento ambientale in forma colposa. Un reato che, come spiega proprio il giudice nel suo dispositivo, punisce chi abusivamente provoca una compromissione o un deterioramento “significativi” e “misurabili” di corsi d’acqua, dell’aria, del suolo e del sottosuolo, di un ecosistema e della sua biodiversità. Il giudice Ruscello fa anche alcuni esempi come il deposito di materiali contaminanti, lo sversamento di sostanze inquinanti nei mari, laghi o fiumi, ma anche mediante altre forme di inquinamento attuate per mezzo di sostanze chimiche o radioattive e, più in generale, con qualsiasi comportamento che determini un peggioramento dell’ambiente. In questo caso la colpa, eventuale, stava in comportamenti omissivi. Insomma, sindaci e governatore non avrebbero fatto abbastanza per ridurre l'inquinamento. Ma cosa avrebbero potuto fare?

I pm hanno suggerito degli interventi che gli imputati avrebbero potuto effettuare, ma il giudice li ha contestati: “Ciascuna delle opzioni descritte dall’accusa – scrive Ruscello – oltre a essere rappresentata in termini del tutto generici e non suscettibili di costituire, nemmeno astrattamente, una condotta alternativa” che “possa essere obiettivamente apprezzata e misurata, si limiterebbe a porre in essere delle condizioni più favorevoli, in particolare, ad un uso più limitato di mezzi di trasporto inquinanti da parte dei privati cittadini”. “Ciò non dimostrerebbe tuttavia ancora l’effettiva diminuzione nell’uso di tali mezzi” se si considera che “le scelte operate dai singoli rispetto ai propri spostamenti personali dipendano da una serie di fattori di diversa natura che possono solo in parte essere condizionati dalle politiche attuate dall’amministrazione pubblica”. Un esempio riguarda il bike sharing che, pur essendo stato potenziato a Torino, si è scontrato con una limitata adesione, oltreché con i comportamenti spesso incivili di chi danneggiava sistematicamente le bici.

Il giudice parla della “evidente irrilevanza di ogni ulteriore considerazione sullo specifico contenuto di ciascuna delle condotte indicate dal p.m. rispetto alle quali, al di là di riferimenti generici contenuti nel materiale di indagine raccolto anche rispetto alle politiche ambientali adottate in altre città in Italia e all’estero, non è stato acquisito alcun dato scientifico utile a dimostrarne la portata impeditiva rispetto all’evento di inquinamento nei termini specificamente riferiti alla città di Torino”. “Vero è, piuttosto – prosegue Ruscello – che tutte le indicazioni ricavabili dagli elementi di natura scientifica acquisiti agli atti concordano sulla circostanza che l’accumulo di PM10 nell’aria della città di Torino sia da attribuire in misura preponderante alle emissioni generate dal traffico veicolare che, peraltro, non interessa solo lo stretto territorio cittadino ma tutta l’area metropolitana circostante con ulteriori difficoltà nel contrasto di fattori inquinanti a carattere diffuso”. Per tutte queste ragioni, secondo il giudice “il materiale probatorio” è  “del tutto insufficiente ad offrire gli elementi minimi per la formulazione di un giudizio controfattuale che possa portare ad affermare con certezza l’esistenza di una condotta alternativa, lecita e concretamente esigibile da parte degli imputati, idonea a scongiurare l’evento di inquinamento ambientale”.

La vicenda ha preso il via nel 2017, quando il comitato Torino Respira guidato da Roberto Mezzalama ha presentato un esposto a Palazzo di giustizia. Viene aperto un fascicolo per inquinamento ambientale e indagati gli amministratori locali che si sono succeduti tra il 2015 e il 2020. Si procede per inquinamento ambientale in forma colposa. La contestazione viene circoscritta a un periodo di tempo che termina nel 2019. Secondo l’accusa gli indagati “cagionavano abusivamente una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile dell’aria della Città di Torino”. Questo perché “adottavano misure inadeguate a eliminare o contenere nei limiti legali i valori di Pm10, nonostante che negli anni vi fossero sempre stati numerosissimi superamenti dei valori limite consentiti”. Resta da capire come la Regione possa essere accusata di politiche inadeguate per Torino, ma adeguate per tutti gli altri Comuni del Piemonte essendo appunto queste politiche le stesse per tutti. O come il sindaco di Torino possa essere più colpevole di quelli di Collegno, Rivoli, Settimo Torinese o altri in cui l’aria è la medesima rispetto al capoluogo.

Per rendere più efficace una indagine dai contorni più politici che giudiziari, il pm Colace aveva depositato una relazione epidemiologica secondo la quale le misure inadeguate e i mancati interventi degli amministratori pubblici avevano determinato fra i 1.000 e i 1.400 decessi “attribuibili”, in base a “dati statistici”, al superamento dei limiti di sostanze inquinanti. Gli sforamenti, secondo i pm, avevano avuto “conseguenze sulla salute delle persone secondo i seguenti dati statistici: incidenza del Pm10 per superamenti del limite normativo pari a 144 decessi attribuibili e 56 ricoveri ospedalieri attribuibili; incidenza del Pm2,5 per superamenti del valore giornaliero raccomandato dall'Oms compresa tra 178 e 407 decessi attribuibili e 184 ricoveri ospedalieri attribuibili; incidenza del biossido di azoro per superamenti del limite normativo pari a 870 decessi attribuibili (di cui 620 decessi per malattie cardiovascolari) e 539 ricoveri ospedalieri attribuibili”. Per il giudice è solo aria fritta.

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