Al Nord stipendi più alti (perché produce di più)
11:50 Sabato 07 Settembre 2024Il divario medio rispetto alle retribuzioni al Sud è di circa il 35%. In Lombardia la busta paga è di 28.354 euro, in Calabria poco più della metà: 14.960 euro. Maggiore produttività a Lecco, Vicenza e Biella. Si batte la fiacca a Vibo Valentia. In Piemonte male il Vco
Non ci sono più le “gabbie salariali” ma le difformità territoriali restano accentuate. Anche dal confronto tra le retribuzioni, le differenze tra Nord e Sud sono molto evidenti. Se gli occupati nelle regioni settentrionali percepiscono una retribuzione media giornaliera lorda di 101 euro, i colleghi meridionali ne guadagnano 75: insomma, i primi portano a casa uno stipendio giornaliero del 35 per cento più “pesante” dei secondi. Questa differenza, sostanzialmente, è dovuta, alla produttività del lavoro; al Nord, infatti, è del 34 per cento superiore al dato del Sud. A livello regionale la retribuzione media annua lorda dei lavoratori dipendenti della Lombardia è pari a 28.354 euro, in Calabria, invece, ammonta a poco più della metà; ovvero 14.960 euro. Ma se nel primo caso la produttività del lavoro è pari a 45,7 euro per ora lavorata, nel secondo è di appena 29,7. Il Piemonte si colloca al quinto posto con una retribuzione media di 24.549 euro e un indice di produttività di 38,8 (inferiore non solo alla vicina regione lombarda ma anche a Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio e Friuli-Venezia Giulia).
Questi aspetti emersi dall’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della Cgia su dati Inps e Istat ripropongono una vecchia questione: gli squilibri retributivi presenti tra le diverse aree del nostro Paese, in particolare tra Nord e Sud, ma molto evidente anche quelli tra le aree urbane e quelle rurali. Tema che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali avvenuta nei primi anni '70 del secolo scorso, attraverso l'impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro. L’applicazione, però, ha prodotto solo in parte gli effetti sperati.
Le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste e in molti casi sono addirittura aumentate, perché nel settore privato le multinazionali, le utilities, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie che – tendenzialmente riconoscono ai propri dipendenti stipendi molto più elevati della media – sono ubicate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord. Le tipologie di queste aziende dispongono anche di una quota di personale con qualifiche professionali sul totale molto elevata (manager, dirigenti, quadri, tecnici, ecc.), con livelli di istruzione alti a cui va corrisposto uno stipendio importante. Infine, non va nemmeno scordato che il lavoro irregolare, molto diffuso nel Mezzogiorno, da sempre provoca un abbassamento dei salari contrattualizzati dei settori che tradizionalmente sono investiti da questa piaga sociale (agricoltura, servizi alla persona, commercio, etc.). Tuttavia, se invece di comparare il dato medio tra aree geografiche diverse lo facciamo tra lavoratori dello stesso settore, le differenze territoriali si riducono e mediamente sono addirittura più contenute di quelle presenti in altri paesi europei. Pertanto, in Italia le disuguaglianze salariali a livello geografico sono importanti, ma, grazie a un preponderante ricorso alla contrattazione centralizzata, abbiamo differenziali intra-settoriali più contenuti rispetto agli altri Paesi.
Per contro, la scarsa diffusione in Italia della contrattazione decentrata – istituto, ad esempio, molto diffuso in Germania – non consente ai salari reali di rimanere agganciati all’andamento dell’inflazione, al costo delle abitazioni e ai livelli di produttività locale, facendoci scontare dei gap retributivi medi con gli altri paesi molto importanti. Oltre ad incentivare l’applicazione della contrattazione decentrata per “appesantire” le buste paga è necessario rinnovare i contratti di lavoro scaduti. A fine giugno di quest'anno erano in attesa di rinnovo 4,7 milioni di dipendenti (pari al 36 per cento del totale). Sebbene il dato sia in calo rispetto allo stesso mese del 2023 (52,8 per cento), la quota di dipendenti privati in attesa di rinnovo è, invece, pari al 18,2 per cento. Non solo. I mesi di attesa per ottenere il rinnovo sono 23,2, ma scende a 4,2 mesi se calcolata sul totale dei dipendenti privati. Insomma, dalla lettura di questi parrebbe che i mancati rinnovi contrattuali interesserebbero più il pubblico, cioè lo Stato, che il privato.
Dall’analisi provinciale delle retribuzioni medie lorde pagate ai lavoratori dipendenti del settore privato emerge che, nel 2022, Milano è stata la realtà dove gli imprenditori pagano gli stipendi più elevati: 32.472 euro. Seguono Parma con 26.861 euro, Modena con 26.764 euro, Bologna con 26.610 euro e Reggio Emilia con 26.100 euro. In tutte queste realtà emiliane, la forte concentrazione di settori ad alta produttività e a elevato valore aggiunto – come la produzione di auto di lusso, la meccanica, l’automotive, la meccatronica, il biomedicale e l’agroalimentare – ha garantito alle maestranze di questi territori buste paga molto pesanti. Torino è nella testa di lista, al settimo posto, con una retribuzione di 25.428 euro (retribuzione giornaliera di 99,65 euro). Tra le province piemontesi Novara registra una retribuzione annua di 24.522 euro, Biella 23.945, Alessandria 23.934, Vercelli 23.844, Cuneo 23.319, Asti 22.937, Verbano-Cusio-Ossola 20.214.
I lavoratori dipendenti più “poveri”, invece, si trovano a Trapani dove percepiscono una retribuzione media lorda annua pari a 14.365 euro, a Cosenza con 14.313 euro e a Nuoro con 14.206 euro. I più “sfortunati”, infine, lavorano a Vibo Valentia dove in un anno di lavoro hanno portato a casa solo 12.923 euro. La media italiana, infine, ammontava a 22.839 euro.
Secondo i dati Inps, nel 2022 il numero medio delle giornate retribuite al Nord è stato pari a 253, al Sud, invece, a 225. Pertanto, nel settentrione un ipotetico operaio ha lavorato 28 giorni in più che corrispondono a oltre 5 settimane lavorative “aggiuntive” rispetto a un collega meridionale. Perché al Sud si lavora meno? Oltre alla presenza di un’economia sommersa più diffusa che nel resto del Paese che, statisticamente, non consente di conteggiare le ore lavorate irregolarmente, il mercato del lavoro è caratterizzato anche da tanti precari, molti lavoratori intermittenti, soprattutto nei servizi, e tantissimi stagionali legati al mondo del turismo che abbassano enormemente la media. Gli operai e gli impiegati con il maggior numero medio di giornate lavorate durante il 2022 sono stati quelli occupati a Lecco (264,2 giorni). Seguono i dipendenti privati di Vicenza (262,6), Biella (262,4), Padova (261,9), Treviso e Bergamo (entrambe con 261,6). In Piemonte dietro la capitale del tessile si piazzano Alessandria (258,0) e Novara (257,5) mentre Torino (255,2) e Cuneo (252,5) registrano flessioni; fanalino di coda il Verbano-Cusio-Ossola (240,3).
Le province, infine, dove i lavoratori sono stati meno in ufficio o in fabbrica durante il 2022 sono quelle di Foggia (210,5 giorni), Rimini (209,9), Nuoro (203,4) e Vibo Valentia (190,8). La media italiana è stata pari a 244,4 giorni.