SANITÀ

Pronti a entrare in ospedale, medici "ostaggio" delle Università

Nonostante i proclami del ministro, per gli specializzandi è ancora molto difficile lavorare in corsia. L'ostacolo delle "reti formative". In Piemonte professionisti, vincitori di concorso, "trattenuti" dall'ateneo genovese. Rivetti (Anaao): "Serve soluzione rapida"

“Abbiamo scelto di investire sugli specializzandi e mandare a casa i gettonisti”. Sono passati tre mesi da quando il ministro della Salute Orazio Schillaci, intervenendo a un convegno dei sindacato Anaao-Assomed, sintetizzò la sua terapia (parziale) contro l’ormai cronica carenza di professionisti negli ospedali.

Cento giorni non sono molti, ma poco è cambiato e quel poco non rassicura affatto. I professionisti forniti dalle cooperative continuano a coprire turni nei Pronto Soccorso così come negli altri reparti a caro prezzo per le casse delle Asl e quindi delle Regioni, mentre i laureati in corso di specializzazione che entrano in corsia sono ancora troppo pochi. Soprattutto, per quei pochi che decidono di rispondere ai bandi spesso si chiudono le porte e la chiave continuano a tenerla stretta le Università, più precisamente i docenti delle scuole di specializzazione.

Le forche caudine, utile strumento per le strutture universitarie al fine di conservare al loro interno un nutrito numero di professionisti, sono altrettanto spesso rappresentate dalle reti formative, ovvero quegli ospedali quei reparti che all’interno di ciascuna azienda sanitaria o ospedaliera hanno il riconoscimento necessario per poter assumere a tempo indeterminato gli specializzandi, consentendo loro di completare il quinquennio. Sembra una mera questione burocratica, sia pure rilevante sotto il profilo della specializzazione, ma sempre più sovente è proprio il non inserimento di un reparto o di un intero ospedale nella rete cancellare annunci, promesse e auspici verso una seppur non totale soluzione del problema. 

Capita in molti ospedali dove i giovani medici andrebbero volentieri a lavorare, ma non possono farlo perché senza quel “riconoscimento” non viene consentito loro dagli atenei. Succede, solo per citare un esempio, nel reparto di medicina interna di Moncalieri, così come è di questi giorni un altro caso all’Asl di Alessandria. Lì, tre specializzandi, due del terzo anno e uno del quarto, dell’Università di Genova hanno superato il concorso e sarebbero pronti ad entrare in ospedale, nel caso quello di Ovada, ma quando tutto pareva ormai sistemato ecco arrivare il disco rosso dall’ateneo ligure. L’azienda sanitaria non è inserita nella rete formativa e, dunque, niente nuovi medici, se non solo per sei mesi.

La questione già di per sé difficile e diffusa in tutte le province del Piemonte eccetto Vercelli e qualche altro raro caso, si complica ancor di più per altri paletti che ostacoli che alimentano il sospetto di una evidente resistenza di una gran parte delle università a “cedere” i giovani professionisti a quel sistema sanitario che ne ha un crescente bisogno. Le cosiddette “finestre”, ovvero i pochi giorni in cui sul portale del ministero è possibile per gli ospedali richiedere l’inserimento nella rete formativa, si aprono assai raramente e di fatto senza preavviso. Quasi una sorta di click day, che se non sei pronto e svelto ti tocca aspettare il prossimo. E qui ecco un altro inghippo, visto che è a dir poco lungo il lasso di tempo tra una finestra e l’altra, tanto che la prossima è attesa non prima della prossima primavera, sempre quasi senza preavviso. 

In Piemonte qualche passo in avanti nel rapporto tra sistema sanitario regionale e università lo si è fatto con l’osservatorio che facilita tutta una serie di passaggi, senza tuttavia risolvere alla radice un problema che resta di competenza nazionale. Per casi come quello in provincia di Alessandria non rimane che affidarsi alla diplomazia e cercare, come annuncia di fare al più presto l’assessore Federico Riboldi “interloquendo con l’Università di Genova per trovare una soluzione che consenta ai tre medici di entrare al più presto in ospedale”. Se auspicabilmente questo caso sarà risolto consentendo ai giovani camici bianchi, dopo aver superato il concorso, di lavorare nei reparti, resta comunque un nodo che rende quasi del tutto vani i ripetuti annunci del ministro e le altrettanto buone intenzioni di quegli specializzandi che sono pronti a entrare in ospedale.

“Da tempo siamo impegnati a livello regionale per favorire l’utilizzo degli specializzandi”, ricorda Chiara Rivetti, segretario per il Piemonte di Anaao-Assomed. “La Regione ha previsto un bonus e avviato un’azione di sensibilizzazione sui direttori delle scuole di specializzazione. Lo stesso osservatorio ha semplificato molte procedure a partire dall’autorizzazione dell’ateneo all’impiego degli specializzandi su richiesta della Regione,  ma l’ostacolo che permane a livello nazionale con le difficoltà a far parte della rete formativa – aggiunge la sindacalista – rischia di ridurre l’efficacia anche di interventi importanti”. Insomma, i buoni propositi del ministro fino ad oggi sembrano restare tali, con i gettonisti che ancora entrano dalla porta degli ospedali e gli specializzandi che restano fuori da quella finestra aperta troppo di rado. E dietro la quale, a pensar male con tutto quel che ne consegue, non è difficile intravvedere immarcescibili baronie.

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