Robin Hood al contrario

La nostra Carta costituzionale è la perfetta sintesi tra due grandi ideologie rappresentate nell’Assemblea Costituente del 1946. I valori social-comunisti e, all’opposto, quelli liberali hanno infatti trovato un equilibrio nella redazione dei 139 articoli che vanno a comporre la Legge fondamentale della Repubblica italiana. Sintesi magnificamente testimoniata, tra gli altri, dall’articolo 42: norma che definisce la proprietà privata “libera”, ma comunque assoggettata alla legge, che ne determina i limiti al fine di favorire la sua funzione sociale.

La dignità dei cittadini è quindi tutelata da una serie di articoli che garantiscono il lavoro, il diritto alla salute e all’abitazione. Altre norme, invece, impongono doveri essenziali per la tutela del bene comune, tra cui quello di sostenere le finanze dello Stato: obbligo rapportato doverosamente al reddito del contribuente. L’articolo 53 recita appunto: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione alla loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Purtroppo il lavoro elaborato dai padri costituenti è stato spesso trasformato in carta straccia dalle istituzioni. Sono invero pochi gli articoli della Costituzione onorati dalle leggi, sia statali che regionali, nonché dai decreti del Governo. Sono oramai sviliti al rango di semplici enunciazioni i diritti alla salute, all’istruzione e al lavoro; è ridotto a un’espressione di vago principio il ripudio della guerra, infine è totalmente inapplicata la norma inerente alla progressività del sistema tributario.

Il popolo italiano vota abitualmente la compagine che, più di altre, garantisce le tutele delle classi ricche della società. In Italia è impossibile parlare di imposta patrimoniale, poiché è osteggiata sia da chi specula, accumulando grandi fortune, che dalle masse popolari in difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena. 

Il Ministro Tajani (ad esempio) annuncia spesso, e in modo ossessivo, come il governo non abbia alcuna intenzione di aumentare le tasse alle imprese (novero che comprende le piccole realtà produttive, ma pure quelle abituate a realizzare profitti stellari), inviando così un messaggio tranquillizzante, seppur paradossale, proprio agli elettori meno abbienti: la difesa tributaria del ministro di Forza Italia include soprattutto il sistema bancario e i suoi extraprofitti. 

La gente normalmente applaude questa levata di scudi posta contro le cosiddette gabelle riservate ai cittadini più abbienti, senza comprendere che i soldi per far funzionare la macchina pubblica (o meglio, mal funzionare i servizi) arrivano quasi esclusivamente dalle tasche dei dipendenti e dei pensionati. Affermazione, quest’ultima, di cui è possibile avere riscontro analizzando (con un impegno davvero minimo) i cedolini dello stipendio e, ancor più, quelli pensionistici. A bassi redditi, e a basse pensioni, solitamente corrispondono prelievi considerevoli, insensati, del tutto privi di proporzionalità tra reddito reale e peso fiscale. 

Gli assegni pensionistici, per chi gode di redditi sino a 28 mila euro, sono tassati al 23%, mentre la quota del prelievo sale al 35% per i redditi dai 28 mila sino ai 50 mila euro. La prima fascia subisce quindi un taglio della pensione vicino a un quarto della cifra assegnata: esborso che riguarda sia i percettori di 2.300 euro al mese, che coloro che ne riscuotono solamente 600. Trattenere (facendo conti molto approssimativi e a titolo di esempio) 529 euro ai primi è sicuramente una decurtazione importante, ma trattenere 138 euro ai secondi è in realtà una condanna alla fame: vivere con 1.770 euro al mese è possibile, mentre con 600 si sopravvive appena. 

Il peso fiscale per chi ha redditi alti è sicuramente minore rispetto a chi invece incamera assegni “sociali”: i primi si lamentano di quanto versano allo Stato, ma dopo aver onorato il debito maturato nei confronti dell’Agenzia delle Entrate la loro vita non cambia di molto (potranno concedersi comunque qualche sfizio e vacanze estive); i secondi, invece, in seguito al pagamento della cartella esattoriale rischiano di dover scegliere tra un tetto sulla testa e nutrirsi. 

Tra le cause che generano ingiustizia sociale si annovera sicuramente un sistema tributario che dimostra il suo stranissimo concetto di progressività e che condiziona pesantemente la qualità della vita di molti cittadini, soprattutto degli anziani. Una sensibilità fiscale paragonabile a quella di un Robin Hood al contrario (ossia un “eroe” che ruba ai poveri per donare ai ricchi), che stranamente non genera dinamiche conflittuali di piazza. La pace sociale sembra comunque appesa a un filo, garantita flebilmente dalle tante non verità narrate dalla politica, dai media, nonché dall’applicazione moderna dell’antica arma di distrazione “panem et circenses” citata dal poeta Giovenale: coperchi mal incastrati su una pentola a pressione messa a dura prova.

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