Non esistono "cattolici professionisti"

Carlo Donat-Cattin a metà degli anni ’80 li chiamava “cattolici doc”. Franco Marini, all’inizio degli anni duemila, li bollava come “cattolici professionisti”. Cambiano i tempi, tramontano i partiti, si affermano nuove classi dirigenti e nuovi soggetti politici ma i vizi del passato restano sempre freschi e ben presenti. Parliamo, nello specifico, di chi pensa di avere il monopolio della rappresentanza politica dei cattolici. Ben sapendo che, da sempre, ma soprattutto dopo la fine della Democrazia Cristiana avvenuta oltre 30 anni fa, esiste in Italia un radicato e oramai filologico ed oggettivo pluralismo politico ed elettorale dei cattolici. Non a caso, tutti i sondaggisti ci dicono che i cattolici votano come tutti gli altri cittadini italiani e il consenso dei cattolici stessi si spalma in modo omogeneo a seconda del peso dei rispettivi partiti. Malgrado ciò, la tentazione di pensare di interpretare il ‘sentiment’ maggioritario dei cattolici da parte dei soliti noti è sempre ben salda e radicata. E gli esempi concreti non mancano. In questi giorni ci sono due importanti convegni di due correnti del Pd. Due delle tante correnti del Pd. Iniziative del tutto legittime, come ovvio e scontato. Con il piccolo dettaglio che, almeno leggendo i vari resoconti giornalistici, i rispettivi dirigenti di queste due correnti pensano di rappresentare il meglio dell’area cattolica italiana. Che, è inutile sottolinearlo, deve votare a sinistra e, nello specifico, il principale partito della sinistra italiana, cioè il Partito democratico. Tesi, questa, sufficientemente radicata negli organizzatori dei convegni di Milano e di Orvieto.

Ma, non paghi di questa presunta rappresentanza maggioritaria dei cattolici italiani più sensibili all’impegno politico e pubblico, apprendiamo sempre dagli organi di informazione compiacenti, che un altro “cattolico doc” o “professionista” ha deciso di “scendere in campo”. Si tratta dell’ex Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini. Pare quasi che da parte della stampa progressista amica ci sia un’attesa messianica nei confronti di questo “civil servant” che si candida direttamente a Premier o a “federatore” o a leader del campo largo - non abbiamo ancora ben capito quale sia il ruolo che andrà a ricoprire - prima di qualsiasi legittimazione democratica dal basso. Insomma, l’esatto opposto di quello che recita la miglior cultura democratica. Ovvero, le classi dirigenti dovrebbero sempre essere espressione della legittimazione democratica dal basso e mai scelte attraverso il metodo elitario ed aristocratico – e profondamente anti democratico – della cooptazione dall’alto. Ma tant’è, trattandosi di “cattolici professionisti” o “doc” tutto è possibile e legittimo perché vien sempre fatto e declinato in nome dei valori e mai come un atto di potere.

Ora, se fosse ancora necessario un pensiero finale a commento di questo scenario per nulla singolare ed originale nella storia di una parte del movimento cattolico italiano, non potremmo che arrivare alla conclusione che per fortuna la galassia dell’area cattolica italiana va ben oltre al recinto dei “cattolici doc” richiamati da Donat-Cattin o dei “cattolici professionisti” denunciati da Marini. Questi sono una porzione, peraltro storicamente importante e decisiva perché ben inseriti nei gangli del potere vero, che sono sempre esistiti e sempre esisteranno nell’area cattolica. Quello che conta è non dare eccessiva importanza alla narrazione o alla vulgata che trasmette il solito messaggio propagandistico e commerciale che questi, e solo questi, rappresentano l’eccellenza della presenza politica dei cattolici italiani. Tutto il resto è secondario.

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