Da Schlein non c'è spazio per il centro
Giorgio Merlo 07:00 Giovedì 23 Gennaio 2025
Il dibattito che ha caratterizzato lo scorso fine settimana attorno al rapporto tra i cattolici e la politica e, soprattutto, sulla necessità della riscoperta di un progetto politico centrista, riformista e di governo è stato quantomai importante e di qualità. È del tutto naturale che siano emersi alcuni aspetti che, se non altro, apportano un po’ di chiarezza su temi che periodicamente fanno capolino nel dibattito politico. Sostanzialmente tre.
Innanzitutto nessuno può pensare di avere il monopolio esclusivo della rappresentanza politica dei cattolici italiani. Occorre prendere atto che il pluralismo politico, culturale ed elettorale dei cattolici è ormai un fatto storico acquisito e consolidato e non si può più mettere in discussione. E anche chi ha la tentazione – un vecchio tic che da sempre è presente nella galassia cattolica italiana – di ambire ad essere più cattolico degli altri, i famosi “cattolici professionisti” o “cattolici doc”, devono rassegnarsi a una condizione che è sotto gli occhi di tutti.
In secondo luogo, ed è questo l’aspetto politicamente più rilevante, si è preso atto che nella coalizione di sinistra e progressista la “politica di centro” è sostanzialmente incompatibile. Ovvero, per dirla con una metafora calcistica, i centristi da quelle parti sono costretti a giocare in trasferta. O, per dirla con parole ancora più chiare, di giocare sempre fuori casa. E questo per la semplice ragione che in un partito che – seppur legittimamente e in perfetta coerenza con il profilo culturale e il progetto politico della segretaria Schlein – ha una chiara cifra radicale e massimalista non c’è spazio per i centristi, per la loro cultura, per la loro indole e per la loro esperienza.
Del resto, la denuncia arriva dagli stessi protagonisti che hanno organizzato la doppia kermesse di sabato scorso. Fuorché, perché di questo si tratterebbe, il tutto si riduca ad una gentile concessione di una manciata di seggi parlamentari per confermare la cosiddetta natura “plurale” del partito. Insomma, una sorta di “quota panda” da rispettare per poter dire che anche i cattolici centristi possono avere cittadinanza nella coalizione di sinistra e progressista. In ultimo, e di conseguenza, la semplice presa d’atto che la “politica di centro” si può costruire e rideclinare solo altrove. Cioè in quei partiti e in quei movimenti politici che non ostacolano pregiudizialmente e quasi ideologicamente tutto ciò che seppur solo lontanamente è riconducibile alla tradizione, al pensiero e alla cultura di marca centrista.
Ragioni semplici ma quasi oggettive che escludono alcune forze politiche da questo investimento politico. E questo perché, prima o poi, i nodi politici vengono al pettine. E, paradossalmente, proprio i due recenti convegni delle rispettive correnti del Pd hanno confermato quello che tutti già pensavano o sapevano. Ovvero, la cultura e la “politica di centro” non sono compatibili con partiti e movimenti radicali, estremisti, massimalisti, iper sovranisti e populisti. A volte nella politica, come nella vita, le cose sono molto più semplici di quel che appaiono. E la vicenda del futuro e della prospettiva del Centro rientra, a pieno titolo, tra queste.