Torino? "A noi!". Il piano di FdI per espugnare Palazzo Civico
Davide Depascale 07:00 Sabato 19 Aprile 2025Troppo presto? Mica tanto. I meloniani in vista delle comunali del 2027 studiano un election day con le politiche per cavalcare l'onda lunga del centrodestra. Ma tra il rebus del candidato e l'ostacolo Cirio (e la sua concordia con Lo Russo), la strada è in salita
Torino, nell’immaginario, è un baluardo progressista, una città da sempre ostica al centrodestra. Perfino la rossa Bologna ha avuto un sindaco di centrodestra (Giorgio Guazzaloca dal 1999 al 2004), il capoluogo sabaudo mai. Ma Fratelli d’Italia non si arrende: la poltrona di primo cittadinoper le amministrative del 2027 è l’obiettivo dichiarato, e il partito di Giorgia Meloni è pronto a giocarsi il tutto per tutto. Come? Con un piano astuto: accorpare le elezioni comunali alle politiche, sfruttando l’onda lunga di un centrodestra che i sondaggi danno in ascesa. E sbarazzandosi del ballottaggio, ostacolo finora insormontabile.
L’idea, che circola con insistenza nelle stanze di via della Scrofa, prevede di anticipare la fine della legislatura a marzo 2027, con il voto a giugno. Un election day che unisca politiche e amministrative, lasciando al prossimo governo l’onere della legge di bilancio ed evitando una campagna elettorale sotto l’ombrellone. Fonti del centrodestra confermano che il progetto ha preso corpo in riunioni di coalizione, persino al tavolo con il ministro Roberto Calderoli. Non è un’idea nuova: nel 2022, il voto anticipato a settembre dopo le dimissioni di Mario Draghi fu dettato dall’urgenza di approvare la Finanziaria. Ora, una chiusura anticipata della legislatura – che non troverebbe resistenze al Quirinale – garantirebbe anche un “premio” collaterale: i parlamentari al primo mandato maturerebbero il diritto alla pensione (dopo 4 anni, 6 mesi e un giorno).
Torino è solo una delle grandi città che andranno alle urne nel 2027, insieme a Roma, Milano, Napoli e Bologna, tutte roccaforti del centrosinistra. Il centrodestra punta a cavalcare il vento favorevole delle politiche per sfondare dove fatica di più. A Milano, il nome di Maurizio Lupi (Noi Moderati), benedetto da Ignazio La Russa, è già sul tavolo. A Torino, invece, Fratelli d’Italia vuole dettare legge, rifiutando candidati civici di scarso peso, memore dei flop alle scorse comunali di Luca Bernardo a Milano o Enrico Michetti a Roma. Servono nomi pesanti, capaci di vincere. E qui si apre il rebus: chi?
Un candidato moderato e civico, sullo stile di Paolo Damilano, che nel 2021 non riuscì a scalzare Stefano Lo Russo? L’ipotesi non scalda i cuori di FdI, che guarda piuttosto a una figura di rottura, come fu Chiara Appendino nel 2016, capace di smantellare il “sistema Torino” incarnato da Piero Fassino. Tra i nomi che circolano, spicca quello di un riluttante Maurizio Marrone, assessore regionale al Welfare, bandiera della destra più identitaria. Oppure Licia Mattioli, imprenditrice di peso, già in lizza per la presidenza di Confindustria, il cui nome era emerso anche nel 2021, sondata da Matteo Salvini. Più defilata, ma non esclusa, Claudia Porchietto, ex deputata di
Forza Italia e attuale sottosegretaria regionale, che però porrebbe condizioni giudicate eccessive: un paracadute parlamentare e il totale carico economico sulla coalizione delle spese per la campagna elettorale. Meno convincente, per FdI, l’ipotesi Silvio Magliano, ciellino, consigliere regionale della Lista Cirio ma nella precedente legislatura nel centrosinistra: troppo banderuola. Lo spettro che aleggia ancora è quello di Rocco Buttiglione, altro seguace di don Giussani, che nel 2006 incassò una batosta contro Sergio Chiamparino. Diverso il caso, pur nella notte dei tempi, di Raffaele Costa che addirittura nel 1997 vinse al primo turno con il 43,3% contro Valentino Castellani, per poi perdere ai tempi supplementari per soli 4mila voti.
A complicare il quadro di oggi c’è però un ostacolo interno: Alberto Cirio. Il governatore piemontese, in rapporti simbiotici con Lo Russo (che ne imita persino l’abbigliamento), non ha alcun interesse a scalzare l’attuale sindaco. I due collaborano senza attriti, e Lo Russo non rappresenta di certo una minaccia per Cirio: ogni volta che si presentano in coppia uno perde 10 voti, l’altro ne guadagna 20. Uno schema che ricorda il 2001, quando nella versione originale della “concordia istituzionale” Enzo Ghigo, allora presidente di centrodestra della Regione, di fatto appoggiò Chiamparino contro il candidato del suo stesso schieramento, Roberto Rosso, che pure ottenne un risultato storico, sfiorando la vittoria (sostanziale pareggio al primo turno, poi sconfitto con il 47%). La storia, chissà, potrebbe ripetersi.
Una manina arriverà con una nuova legge elettorale per le comunali, proposta dal senatore meloniano Lucio Malan, assieme ai suoi omologhi di FI e Lega, che abbassa al 40% la soglia per vincere al primo turno. Un assist non da poco, con il sostegno di Azione (quasi) già in tasca e il sostanziale disinteresse dei Cinquestelle (per nulla propensi a fare i portatori di acqua al Pd). Ma la strada per Palazzo Civico è lunga, e il fortino progressista di Torino non si espugna con un colpo di mano. Fratelli d’Italia ci crede, ma il rebus del candidato e le alchimie interne al centrodestra sono nodi tutti da sciogliere. Due anni per trovare la quadra: come si dice in questi casi, un’era geologica.