SACRO & PROFANO

"Le chiese saltino per aria". L'auspicio di fra talebano

Le parole choc del liturgista Gazzoni che al santuario della Madonna di Crea avrebbe "tolto tutto, rifatto tutto, rifatto un pavimento, un ripensamento di tutto: io sono per l'oblio". Al punto da invocare l'intervento di qualche fanatico islamico

Una delle memorabili battute del cardinale Joseph Ratzinger era quella della differenza fra un terrorista e un liturgista per cui col primo si poteva trattare, con il secondo no. I fedeli piemontesi, in particolare quelli della diocesi di Casale Monferrato, conoscono e amano il santuario della Madonna di Crea, finora preservato, per un arcano disegno della Provvidenza, dallo scempio denominato «adeguamento liturgico» e cioè dalla distruzione del presbiterio e degli antichi altari per mettere al loro posto – in ambienti barocchi o romanici – orribili manufatti, così come avvenuto nelle cattedrali della regione. Naturalmente, per giustificare gli obbrobri si suole far riferimento al Concilio Vaticano II che invece non ha mai previsto nulla di simile, basti leggere Sacrosanctum Concilium. Gli adeguamenti, infatti, nascono da una idea, anzi da una ideologia, come lo furono in diocesi di Torino le chiese-garage in cemento edificate ai tempi del cardinale Michele Pellegrino e che adesso si stanno sgretolando, mentre le antiche chiese resistono impavide sotto i colpi dei liturgisti e nel silenzio acquiescente delle Soprintendenze.

Ora tocca a Crea e il progetto è stato presentato giorni fa da uno dei liturgofrenici più eminenti e ideologici che – ça va sans dire – non poteva venire se non dalla diocesi di Cuneo-Fossano. Si tratta di fra Luca Gazzoni, torinese di origine, membro della Fraternità di Emmaus, ordinato prete nel 2022 e che insieme al confratello di Saluzzo, don Marco Gallo, di obbedienza grillina (intesa come Andrea Grillo) stanno provvedendo sistematicamente a distruggere le chiese del Cuneese e che ha magnificato una piccola mensa trapezoidale come altare, un ambone a scavalco della balaustra e un seggiolone con alto schienale. Fra Luca ha detto pubblicamente di considerarsi «un talebano» rammaricandosi di una legislazione che non permette di radere al suolo tutto per edificare una nuova Chiesa: «Io avrei tolto tutto, rifatto tutto, rifatto un pavimento, un ripensamento di tutto: io sono per l’oblio. Auspico sempre che qualche talebano venga a far saltare in aria le nostre chiese così possiamo pensarle con più serenità». Queste sono le idee dei liturgisti progressisti, questi i loro presupposti teologici: rottura e discontinuità. Assisteva anche – sempre più arrabbiato perché vede gli odiati tradizionalisti avanzare – l’ideatore dello scempio e cioè l'ex vescovo di Casale Monferrato, monsignor Alceste Catella, uno di quei “cattivi maestri” che hanno contribuito, con le migliori intenzioni, a ridurre la liturgia nel penoso stato in cui si trova.

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Ma è Pasqua e per rimanere a Ratzinger di cui in questi giorni ricorre il ventesimo anniversario dell’elezione al soglio pontificio come Benedetto XVI, egli, ancora arcivescovo di Monaco, pronunciò una famosa omelia durante la Messa in Coena Domini del 1981, veramente profetica: «Questa festa di Pasqua, la quale dai nomadi attraverso Israele è giunta sino a noi grazie a Cristo, ha, in un senso più profondo anche un significato politico. Noi abbiamo bisogno anche di essere popolo e qui, in Europa, abbiamo bisogno di nuovo di tornare ai nostri fondamenti spirituali se non vogliamo perderli nell’autodistruzione».

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Alla Messa crismale al Santo Volto di Torino, il cardinale Roberto Repole, nella sua omelia, ha invitato tutti, specialmente i preti, al dono totale di sé nell’esercizio del ministero: un ministero da vivere cristianamente, cioè cristicamente, in modo pasquale, affrontando anche l’insuccesso e lo scacco, come Cristo, fin dall’inizio del suo ministero pubblico a Nazareth. Questa, infatti, è l’unica cosa che davvero conta ai suoi occhi: non quale successo riscuotiamo, come presbiteri e come Chiesa, secondo la logica del mondo, ma «che noi ci doniamo fino in fondo, con estrema generosità, senza trattenere nulla, lasciando a Lui e soltanto a Lui di misurare l’efficacia del nostro ministero».

Nessun riferimento alla specificità del sacerdozio cattolico, che differisce essenzialmente, e non solo di grado, da quello battesimale, al servizio del quale per altro è ordinato. Lo si è visto anche nel rito e nel rinnovamento delle promesse, prima quelle diaconali e poi quelle sacerdotali. Secondo la nota ecclesiologia di Repole, il sacerdozio è solo un ministero tra i possibili ministeri ecclesiali. Non è un sacramento capace di configurare ontologicamente e definitivamente l’uomo chiamato a Cristo sacerdote. Tutto sommato però la sua è stata un’omelia di buon livello in quanto tesa a elevare il clima spiritale del presbiterio ma che, a una lettura attenta, presenta qualche “svista teologica”. «Nel Battesimo, lo Spirito Santo scende ad abitare l’umanità di Gesù affinché anche questo stesso Spirito possa passare ad abitare da Lui a noi, in modo connaturale, dalla Sua Umanità alla nostra umanità».

Ora basterebbe aver letto il Catechismo della Chiesa Cattolica per vedere come il Battesimo al Giordano abbia prima di tutto un significato «epifanico» – non costitutivo – e rappresentò poi la definitiva accettazione da parte di Cristo della Missione di Salvezza che il Padre gli ha affidato (CCC, nn. 535-537). La consacrazione pneumatica, invece, della Santissima Umanità di Cristo si realizza nel Mistero stesso dell’Incarnazione, piuttosto assente nel magistero repoliano, e precisamente nell’istante del concepimento verginale di Cristo nel grembo immacolato di Maria per opera dello Spirito Santo, così che tutta la vita di Cristo si muove radicalmente nell’orizzonte dello Spirito. Possono sembrare sottigliezze, ma una maggiore precisione eviterebbe non solo ogni rischio di cripto-adozionismo, ma garantirebbe anche quel necessario equilibrio e reciproco richiamo tra cristologia, pneumatologia ed ecclesiologia, che mette in salvo da pericolose derive spiritualiste e pseudo-sinodali.

C’è però una buona notizia perché monsignor Alessandro Giraudo, vescovo ausiliare (che presto sarà affiancato da un nuovo collega vescovo), ha finalmente rinunciato a pronunciare i saluti augurali di fine Messa, risparmiando ai presenti gli imbarazzanti «viaggi in cantina e in soffitta» e lasciando la parola ad un diacono che, a nome di «don Guido» (Fiandino), dei presbiteri e dei diaconi di Torino e di Susa, si è dilungato in mielosi e ripetitivi ringraziamenti all’amico «don Roberto», assicurandogli la disponibilità e l’obbedienza di tutti i presenti, ma «nei limiti della condizione di tutti».

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A proposito di obbedienza, il rebus o meglio il rompicapo degli spostamenti dei parroci si va facendo più complesso e la virtù dell’obbedienza è sempre più difficile da ottenere, non solo perché, da don Milani in poi, essa non è più una virtù, ma perché viene pretesa da chi l’ha sempre praticata a suo modo. A fronte poi dei noti «inamovibili», per cui già il solo nominarli durante i colloqui, sta dando luogo a reazioni stizzite da parte del gruppo di comando. Un nodo da sciogliere sembra sia Moncalieri dove si tratta di trovare un posto ai parroci che si vogliono rimuovere – don Paolo Comba, don Gianfranco Molinari e don Giancarlo Carlucci – per insediare gli adepti “boariniani”. Come si è detto, a loro interessano i grandi centri dell’area metropolitana dove poter esportare il modello Grugliasco. In città o in provincia si mandano i non allineati.

Credits: foto messa crismale dal sito della Diocesi di Torino

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