SANITÀ

Baroni in clinica, senza discepoli. Specializzandi solo in ospedale 

Il divieto nella delibera della Città della Salute di Torino impedisce ai cattedratici di portare con loro i giovani medici che potranno svolgere l'intramoenia esclusivamente nelle strutture pubbliche. Questione che da tempo agita i rapporti con le università

I medici specializzandi possono esercitare la libera professione all’interno della struttura pubblica, ma non in quelle private. La disposizione di legge, ribadita nella delibera con cui la Città della Salute di Torino avvia la procedura per le nuove convenzioni con le cliniche, è chiara. Meno la situazione in atto. Così come paiono persistere dubbi circa la piena condivisione di questa norma dal mondo accademico, di cui almeno una parte non sarebbe ben disposta a rinunciare ai medici in formazione specialistica per l’attività di intramoenia esercitata nelle cliniche.

Una prova del fatto che quanto messo nero su bianco dal commissario Thomas Schael non sia un passaggio meramente formale e magari vada, invece, ad intaccare consuetudini e interessi diversi la si trova, per esempio, in un documento interno della Città della Salute del 17 marzo del 2023. In quella lettera la responsabile della struttura che si occupa della libera professione, chiedeva ai vertici aziendali “se il medico il formazione specialistica possa compartecipare all’attività libero professionale intramuraria presso le case di cura non accreditate con le quali esista un contratto per spazi e servizi in regime di ricovero con questa azienda, e del caso con quali modalità”.

Se il divieto per i docenti, o più precisamente i tutor di portare con loro nell’attività libero professionale esercitata, legittimamente, nelle strutture private fosse stato così chiaro, rispettato e non oggetto di richieste, per quale ragione la dirigente avrebbe dovuto porre il quesito?

Un ulteriore precedente, più eclatante, risale all’ottobre del 2017. Nell’autunno di otto anni fa i carabinieri del Nas trovano nello studio privato del noto primario di cardiologia delle Molinette Fiorenzo Gaita, non trovano lui ma un suo specializzando. Il luminare, subito poco dopo avrebbe chiesto il prepensionamento, spiegherà che aveva l’autorizzazione del direttore della scuola, ma nel frattempo l’inchiesta si allarga. In Procura vengono aperti due fascicoli, i Nas verificano libretti e presenze degli specializzandi e tra i camici bianchi pochi si stupiscono di quella che sarebbe stata quasi una prassi di non pochi “baroni”, ovvero portare con loro nelle cliniche i futuri specialisti. Fare, insomma, quel che il decreto del 17 agosto 1999 vieta, stabilendo che agli specializzandi “è inibito l’esercizio dell’attività libero professionale all’esterno delle strutture in cui si effettua la formazione”.

Un altolà che, a quanto risulta, era stato rinnovato anche dal precedente vertice di corso Bramante, quando a dirigere l’azienda era Giovanni La Valle. Sempre negli ultimi tempi di quella direzione generale, sulla discussa questione era stato predisposto un tavolo con l’Università, senza che poi avesse avuto seguito. Forse si sarebbe anche chiarito un altro aspetto che certo non contribuisce a far chiarezza sul reale rispetto della legge e nel rapporto tra Università e servizio sanitario pubblico. In un documento dell’Università del 2008 in vista di un accordo con l’azienda di corso Bramante, sembrano aprirsi le possibilità per gli specializzandi di lavorare in intramoenia anche all’esterno.

E così sarebbe, effettivamente, avvenuto per anni tra silenzi e dubbi sull’interpretazione della legge. Avere nelle proprie equipe in clinica privata medici il cui futuro è nelle mani dei loro docenti, per questi ultimi o comunque per una parte di essi rappresenta più di un vantaggio. Innanzitutto economico, visto che il costo di uno specializzando non è certo quello di un medico strutturato, rafforzato dall’indiscutibile rapporto di sudditanza che, inevitabilmente, si crea tra maestro e discepolo.

Un altro rapporto, non certo partito nel migliore dei modi, ovvero quello tra il mondo accademico e il commissario (alla cui nomina l’Università aveva negato l’intesa alla Regione) e poi in parte ammorbiditosi, potrebbe essere nuovamente messo alla prova proprio sulla questione dell’intramoenia nelle cliniche? Il dubbio resta. La certezza del divieto per gli specializzandi di lavorare in clinica pure.