SACRO & PROFANO

Morto un papa (Francesco) ecco come se ne fa un altro

Sarà una successione "bergogliana" oppure dal Conclave uscirà un nome più di mediazione, capace di riportare maggiore unità nella Chiesa dopo gli scossoni di questi anni? Vediamo la composizione del Collegio cardinalizio, con i pesi e il totopontefice

Sono 135 i cardinali elettori che prenderanno parte al conclave che eleggerà il successore di Papa Francesco. Per avere il nuovo Pontefice serviranno i 2/3 dei voti, il quorum è quindi di 91. Per quanto riguarda la divisione dei porporati 110 sono stati creati da Bergoglio, 23 da Papa Benedetto XVI e 5 da San Giovanni Paolo II. I numeri dicono, dunque, che la prossima riunione dei cardinali nella Cappella Sistina potrebbe avere come esito l’elezione di un Papa a trazione “bergogliana” e quindi in continuità con il corso impresso alla Chiesa dal papa argentino. Tuttavia, non si può parlare di blocco “bergogliano”, di un gruppo omogeneo e compatto, dal momento che tra di essi molti non si conoscono, non hanno una assidua frequentazione e vengono da territori remoti o da diocesi piccole e sconnesse con i centri nevralgici delle comunità cristiane disseminate nei vari continenti. Proprio ciò che ha spinto da sempre il Papa a privilegiare una Chiesa meno eurocentrica, sempre meno a trazione curiale, italiana e occidentale, con uno sguardo attento alle periferie e alle Chiese di frontiera in tutto il pianeta. Un collegio, oltretutto, tutt’altro che monolitico dal punto di vista della visione sulle questioni che riguardano la vita e il governo della Chiesa.

Prematuro fare nomi o indicare favoriti anche perché, come la storia insegna, spesso chi entra Papa in conclave ne esce cardinale. Si può però raccontare la suddivisione dei cardinali elettori. La nazione più rappresentata è l’Italia con 17 cardinali, tra questi nomi che circolano come “papabili” Matteo Zuppi e Pietro Parolin, il bergamasco Giovanni Battista Pizzaballa, conoscitore del Medio Oriente e attuale Custode di Terra Santa, e un cardinale della vecchia guardia come Fernando Filoni, un lungo passato come nunzio in Iraq e ai vertici dell’ex Propaganda Fide.. Dietro l’Italia, ci sono gli Stati Uniti con 10 cardinali, poi il Brasile con 7. Queste le tre nazioni più presenti. Tanti sono, invece, i Paesi del mondo che hanno un solo rappresentante. Facendo la divisione per continente, invece, il quadro è questo: i cardinali elettori europei sono 53, i latinoamericani sono 21, i nordamericani 16, gli africani 18, gli asiatici 23, i porporati dell’Oceania 4.

Continuità o sorprese? Ritorno al tradizionalismo o nuovi orizzonti? I recenti conclavi hanno regalato le sorprese delle elezioni di Karol Wojtyla nel 1978 e Jorge Bergoglio nel 2013. Il conclave del 2005, invece, è stato quello che ha avuto l’esito “atteso” con l’elezione di Joseph Ratzinger. Come ogni conclave c’è la suggestione del primo Papa africano della storia. In questo senso uno dei favoriti del continente africano potrebbe essere il cardinale Robert Sarah. Guineano, classe 1945, creato da Benedetto XVI nel 2010.

Cum clave

Il conclave (dal latino cum clave, ovvero, letteralmente, “chiuso a chiave”, sottochiave) è la riunione dei cardinali elettori che si ritrovano nella Cappella Sistina per eleggere il successore di Pietro alla morte del Papa. L’origine del conclave risale al Duecento. Il termine è stato usato la prima volta nel 1270 quando, dopo oltre 1000 giorni di nulla di fatto, i cittadini di Viterbo, allora sede papale, rinchiusero i cardinali a chiave in modo che potessero eleggere il nuovo papa, Gregorio X. Il primo pontefice eletto “cum clave” nel 1118 fu Papa Gelasio II, nel Monastero di San Sebastiano sul Palatino, mentre proprio l’elezione papale del 1268-1271, tenutasi a Viterbo dopo la morte di Clemente IV e la successiva elezione di Gregorio X, fu la più lunga nella storia della Chiesa.

Voto secco o ballottaggio

Secondo la Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, hanno diritto di voto nel Conclave i cardinali che non abbiano compiuto 80 anni alla data in cui la sede apostolica diventa vacante. Al 21 aprile 2025, i cardinali elettori sono 135, infatti anche se Paolo VI aveva fissato un limite massimo di 120 elettori, tale soglia è stata superata più volte. Per l’elezione del nuovo Pontefice è richiesta una maggioranza qualificata di due terzi dei voti espressi. Questa regola si applica a tutti gli scrutini, senza eccezioni. Durante il Conclave, ogni giorno possono essere effettuati fino a quattro scrutini: due al mattino e due al pomeriggio. Dopo ogni votazione, le schede vengono bruciate in una stufa speciale: il fumo nero indica che non è stato ancora eletto un nuovo Papa, mentre il fumo bianco annuncia l’avvenuta elezione. Se dopo 33 scrutini non si raggiunge l’elezione, si procede a un ballottaggio tra i due cardinali che hanno ottenuto il maggior numero di voti nell’ultimo scrutinio. Anche in questa fase, è necessaria una maggioranza di due terzi per l’elezione, e i due candidati in ballottaggio non potranno votare.

Il Decano Re del Sacro Collegio

Papa Francesco in questi dodici anni di regno ha rivoltato come un calzino il Collegio Cardinalizio con una robusta iniezione generazionale di nuovi cardinali, molti dei quali collocabili fuori dagli schemi – basta vedere gli ultimi concistori –, tuttavia non ha cambiato il Decano del Sacro Collegio. Così il novantaduenne cardinale Giovanni Battista Re, Decano uscente, è stato di nuovo confermato nel ruolo che di fatto aveva svolto già durante il conclave del 2013. All’epoca, infatti, Re, da semplice cardinale elettore (ma primo per ordine e anzianità) fu cruciale nelle operazioni di voto nella Cappella Sistina e svolse i compiti che spettavano all’allora Decano ma che (era il cardinale Sodano) avendo superato la soglia degli 80 anni, non poteva essere ammesso alle operazioni di voto interne. Sicché Re, bresciano e di lungo corso curiale, fu da subito apprezzato da Papa Bergoglio per il suo modo saggio di risolvere tante spinose controversie, applicando l’antico motto vaticano che i panni sporchi si devono lavare in famiglia, cercando soluzioni capaci di non creare troppi danni all’istituzione, lavorando all’insegna del buon senso. 

I partiti della berretta rossa

Il gruppo espresso dalle scelte di Bergoglio copre un ampio spettro. Da una parte, c’è un ultra-progressismo estremo, a volte talmente spinto da sembrare quasi un tentativo di scimmiottare il Pontefice, da parte di chi vorrebbe essere più “bergogliano di Bergoglio”: tra i nomi maggiormente in vista in questa compagine, l’arcivescovo del Lussemburgo, Jean-Claude Hollerich (a favore di un radicale aggiornamento del Catechismo della Chiesa sull’omosessualità); il brasiliano Sérgio da Rocha, arcivescovo metropolita di São Salvador da Bahia (che celebrò una messa per commemorare tutte le vittime dell’odio omofobico e transfobico); l’arcivescovo di Barcellona, Juan Josè Omella, che ha fortemente criticato la precedente gestione della Conferenza episcopale spagnola e dalla cui comunità catalana si è levata forte la richiesta dell’abolizione dell’obbligo del celibato sacerdotale e dell’ordinazione per le donne. Tutti e tre, tra l’altro, fanno parte del cosiddetto C9, il Consiglio dei cardinali creato da papa Francesco, di cui il Santo Padre si serve come strumento di supporto nel governo della Chiesa.

Dall’altra parte, c’è il tradizionalismo dottrinario, incarnato ad esempio dal neocardinale Francis Leo, arcivescovo di Toronto, o dall’arcinemico del Pontefice, l’eminenza teutonica Gerhard Ludwig Müller, ex prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, allevato da Ratzinger ma creato cardinale dallo stesso Bergoglio, poi progressivamente posizionatosi dall’altra parte della “barricata” e diventato sempre più critico nei confronti della linea impressa al Papato da Francesco. In questo gruppo, si segnala anche un nome sempre più in vista, dentro e fuori il clero africano: l’arcivescovo di Kinshasa, Fridolin Ambongo Besungu, che ha guidato la levata di scudi contro il documento dell’ex Sant’Uffizio con cui si è data luce verde alla benedizione delle coppie omosessuali. Il suo profilo è rientrato nelle più recenti liste sui cardinali papabili, coloro che entrerebbero in Conclave con più chances di essere eletti.

TotoPapa

Ci sono nomi che si fanno da anni: il filippino Luis Antonio Tagle, pro-prefetto della sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari del Dicastero per l'evangelizzazione, già a capo di Propaganda Fide, illustre teologo che però nel tempo ha perso un po’ di smalto e di prestigio; il segretario di Stato, Pietro Parolin, forse il cardinale più conosciuto anche all’interno dello stesso Collegio, forte del suo ruolo di “primo ministro del Papa”: moderato, esperto, sarebbe il candidato centrista perfetto, che accontenterebbe le varie fazioni presenti all’interno del collegio elettorale della Sistina; il “woytiliano” arcivescovo di Budapest, Péter Erdő, e il “ratzingeriano” Willem Jacobus Eijk, arcivescovo olandese di Utrecht, che però forse risulterebbe eccessivamente esposto “a destra”, per il suo essere fin troppo anti-Bergoglio. E ancora: il maltese Mario Grech, segretario del Sinodo dei vescovi (che però, potrebbe essere penalizzato dagli esiti degli ultimi sinodi che ha gestito e che non hanno portato a casa risultati concreti); il presidente della Cei, il trasteverino Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, che rischia di apparire come un Francesco II con, in più, il bollino della Comunità di Sant’Egidio, tutto internazionalismo e diplomazia e poca teologia; il francese Jean-Marc Aveline, che sembra una riproposizione di papa Roncalli ma di sangue francese (e sarebbe il primo Pontefice d’Oltralpe dai tempi della Cattività avignonese, sei secoli e mezzo dopo).

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