Fratelli tutti

La scomparsa di Papa Francesco è un vero e proprio fulmine a ciel sereno. La degenza ospedaliera, dovuta a una brutta polmonite bilaterale, si era risolta il 23 marzo scorso con le dimissioni del Pontefice e il suo avvio verso una lunga convalescenza. La prescrizione di un periodo di riposo non ha impedito ugualmente a Papa Bergoglio di prendere parte alle celebrazioni previste per la Pasqua, seppur segnato da un volto sofferente e una respirazione a tratti affaticata. 

Il Pontefice non si è infatti risparmiato molto nei giorni seguenti l’uscita dal Policlinico Gemelli, ma nessuno avrebbe immaginato che i festeggiamenti del Lunedì dell’Angelo sarebbero stati interrotti bruscamente dal comunicato del Vaticano, con cui veniva reso noto il decesso del Santo Padre.

Papa Francesco è riuscito a mantenere intatta la sua coerenza sino all’ultimo istante di vita: una fedeltà incessante ai principi imperniati sull’umiltà, da cui il rifiuto nei confronti dei lussuosi riti che hanno caratterizzato i pontificati precedenti il suo. Il giorno di Pasqua, i media hanno accompagnato l’arrivo del vicepresidente statunitense, J.D. Vance, al cospetto del Pontefice, il quale, visibilmente provato (affidandosi a una comunicazione fatta più che altro di gesti) ha voluto regalare tre uova di Pasqua ai figli dell’importante ospite: un prodotto dolciario industriale, realizzato da una nota ditta di Alba e acquistabile in un qualsiasi supermercato, anziché un cioccolato proveniente da qualche prestigioso atelier artigianale (nonché dal costo elevato).   

La consegna dei doni al politico di Washington ha raffigurato, ancora una volta, la tenacia di un Pontefice rivoluzionario, poiché costantemente impegnato a riportare la Chiesa nell’alveo dei valori originari dei suoi fondatori e, in primis, di Gesù Cristo. La riforma dello Ior, la banca del Vaticano, e lo stile di vita del Papa sono solo alcuni degli esempi di come si è manifestata la determinata volontà (per alcuni quasi eversiva) di Francesco. Una rottura con il passato realizzata anche tramite la pubblicazione dell’Enciclica Fratelli tutti: corposa lettera nelle cui pagine il Papa ha voluto esaltare la fratellanza umana e la necessità urgente di giustizia sociale. 

Il Vicario di Cristo in terra dovrebbe costantemente riferirsi ai dettami cristiani, così come un Socialista dovrebbe sempre difendere le politiche sociali e avere quale obiettivo, assoluto, la realizzazione dei principi egualitari. La realpolitik insegna, purtroppo, come dedicarsi al governo di una comunità religiosa, oppure di una comunità nazionale, significhi mettere sovente in un angolo l’utopia, per piegarsi al cinismo di cui sono intrisi gli affari di Stato (oltre a quelli personali). Coloro che riescono a mantenere fede alla propria coerenza soffrono una curiosa contraddizione: essere osteggiati duramente in vita e osannati dopo la morte.

Papa Francesco lascerà un importante insegnamento alle generazioni future, come è stato per Giovanni XXIII oppure (tra i laici) per Sandro Pertini. La consapevolezza del grande valore racchiuso nel suo lascito spirituale obbliga oggi la vasta coalizione conservatrice internazionale, che ha sempre contrastato apertamente il Pontefice (a volte anche insultandolo), a portargli omaggio: ampia classe politica costretta a fare un bagno non di umiltà, ma di pura ipocrisia. 

Il pontificato di Papa Francesco ha portato aria nuova nelle stantie stanze ecclesiastiche, scatenando approvazioni e simpatie pure tra le file della Sinistra, ma la sua azione è difficilmente etichettabile rispetto agli schieramenti ideologici: un Vicario conservatore per quanto concerne il diritto all’aborto, il riconoscimento delle coppie omosessuali e dell’eutanasia, ma progressista nella difesa dei diritti sociali universali, della Pace, e nel volere l’ingresso delle donne all’interno di alcune gerarchie ecclesiastiche.

I leader che hanno ripetutamente ignorato i suoi appelli alla Pace, e all’accoglienza dei popoli migranti, proclamano ora imponenti lutti nazionali. il Presidente argentino, che vedeva in Bergoglio un pericoloso comunista, ha indetto ben sette giorni di bandiere a mezz’asta, mentre il governo italiano ha deciso cinque giorni di lutto nazionale, chiedendo al contempo di celebrare la Festa della Liberazione “con sobrietà”: bieche strumentalizzazioni del ricordo del Papa che è stato prima di tutto “umile tra gli umili”, e il cui sorriso ha dato speranza sia a milioni di fedeli, a prescindere dal credo, che a schiere di non fedeli (compresi gli atei di cui ha riconosciuto coerenza e valore spirituale). 

Capziosi, quindi, gli appelli alla sobrietà: la festa della Liberazione purtroppo non ha mai avuto nulla a che fare con le festose (e popolari) ricorrenze francesi della liberazione e del 14 Luglio, forse per la scelta errata, risalente al dopoguerra, di “pacificare” la società italiana evitando eccessi di vivacità nelle celebrazioni stesse (che al contrario avrebbero reso tale data valore indiscusso pure tra le generazioni più giovani). 

Sfilare il 25 aprile per festeggiare gli 80 anni dalla Liberazione, dalla caduta del nazifascismo, è anche un omaggio a Papa Francesco, poiché in piazza verranno celebrati (come sempre) i valori inclusivi e di libertà cari al Pontefice. Il lutto, inteso come colpo di mannaia sulle cerimonie antifasciste, non può, e non deve, trasformarsi in un escamotage per censurare il desiderio di Pace e giustizia sociale, ma in una dimostrazione di insperata coerenza da parte di quello stesso potere che oggi abbassa le bandiere nazionali a mezz’asta.

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