SANITÀ

Punti nascite salvi con le équipe?
Idea già bocciata dal ministero

La soluzione prospettata da Riboldi non è nuova. Proposta due anni fa, Roma l'ha respinta, ribadendo la necessità di chiudere i reparti con meno di 500 parti l'anno. Servizi sotto soglia soppressi in Emilia-Romagna. E anche De Luca in Campania si arrende

La strada che la Regione intende imboccare per evitare la chiusura in Piemonte di sei punti nascita, sotto la soglia minima di legge, si era già rivelata un vicolo cieco. Nel giugno del 2023 l’assessorato alla Sanità, allora in mano al leghista Luigi Icardi, aveva predisposto un corposo dossier in cui figurava già la soluzione che l’attuale assessore Federico Riboldi presenta oggi come la chiave per mantenere aperti quei reparti degli ospedali che non raggiungono il limite di 500 parti l’anno, spesso rimanendone lontanissimi. 

Utilizzare la stessa equipe di specialisti in più di un punto nascite, programmando le presenze in determinati giorni della settimana, di fatto unendo non fisicamente ma proprio con la presenza alternata dei medici e del resto del personale l’ospedale che rientra nei parametri con quello dove non vengono raggiunti, era alla base, insieme ad altre motivazioni, della richiesta avanzata al ministero. Ma era stato lo stesso ministero, alcuni mesi più tardi nel verbale in cui erano contenuti gli adempimenti per il 2024 a respingere, di fatto, la richiesta. Nel verbale dove sono prescritti di adempimenti per il 2024 è ribadita l’osservanza della norma, ovvero la chiusura dei punti nascite al di sotto della soglia minima.

Com’è evidente non si tratta di una bocciatura che risale a molti anni fa e che, pertanto, potrebbe essere rivista alla luce di notevoli cambiamenti. Certo, tutto è possibile, ma immaginare che quel che è stato confermato appena un anno fa venga ribaltato, ancor più dagli stessi dirigenti ancora al loro posto nel dicastero affidato a Orazio Schillaci, appare qualcosa come una pia illusione o un modo per evitare di mettere sul tavolo questioni su cui le rivendicazioni di campanile incrociano il consenso caro quanto mai alla politica.

La situazione nelle altre regioni

E non soccorrono certo la tesi di Riboldi più o meno analoghe situazioni che si sommano da Nord a Sud del Paese. E’ appena dello scorso febbraio l’annuncio con cui il suo collega dell’Emilia-RomagnaMassimo Fabi ha spento le speranze per tutti quei punti nascite al di sotto dei 500 parti l’anno, ma anche invertito la rotta rispetto alle promesse dell’ex governatore Stefano Bonaccini il cui successore Michele De Pascale, entrambi del Pd, ha di fatto messo il sigillo alle parole del suo assessore: “Tenere aperti i punti dove non c’è un numero sufficiente di nascite è troppo rischioso”. E, soprattutto, non si rispetta la norma. 

Norma che non piace per nulla a uno che non s’arrende facilmente come il governatore della Campania Vincenzo De Luca, ma che in questo caso ha già messo le mani avanti prefigurando la bandiera bianca di fronte alla diffida ricevuta dal ministero a chiudere tre punti nascita sottosoglia. De Luca ha provato a proporre, pure lui, di “riunire” gli ospedali, ma senza aver ottenuto l’esito sperato.

Ragioni di campanile (politico)

Davvero al ministero, a fronte di quanto ribadito appena un anno fa e in uno scenario come quello appena tratteggiato, faranno un’eccezione per dare l’assenso a mantenere attivo il punto nascita di Casale Monferrato con le sue 279 nascite, grazie a quell’equipe itinerante che da Novi Ligure si sposterà alcuni giorni la settimana nella città di cui Riboldi è stato sindaco prima della sua elezione e nomina in Regione? L’assessore non può certo trovare solido appiglio nel mai troppo discusso studio dell’Università Bocconi, commissionato quale base per l’atteso piano sanitario. Lì, oltre a indicare il declassamento di alcuni Pronto Soccorso, a proposito dei punti nascite si propone “senza prescindere dalla considerazione delle caratteristiche geografiche dei territori, procedere alla razionalizzazione di punti nascita al di sotto degli standard, anche alla luce delle prospettive demografiche future, al fine di garantire competenza tecnica e sicurezza”.

E sarà proprio l’atteso piano sanitario lo snodo o le forche caudine per il punto nascite di Casale, così come per quelli di Borgosesia con 106 nascite e Domodossola con 77, mentre i numeri di Verbania (474), Chieri  (430) e Vercelli (392) appaiono meno pesanti e potenzialmente in grado di raggiungere la soglia. Tra tutti quello dove potrebbe giocarsi la carta, peraltro già calata in passato ottenendo deroghe sempre sub iudice, resta Domodossola, anche se in questo caso proprio l’esiguo numero di nascita attesta l’ormai consolidata abitudine di scegliere altri ospedali, da Novara e Verbania e non solo, per partorire. Arduo invocare difficoltà di collegamento tra Casale Monferrato e Alessandria, visti i meno 50 chilometri di strada che si fa in meno di mezz’ora o la distanza da Asti che si copre in tre quarti d’ora. Ci vuole più dalla città dell’assessore a Novi, anche se questo percorso nei suoi piani non lo dovrebbero fare le partorienti, bensì le equipe mediche. Quelle che proposte un paio d’anni fa avevano ricevuto il pollice verso dal ministero.

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