SACRO & PROFANO

I giorni da Leone di Repole: dal filippino Tagle a Prevost

Come ha votato l'arcivescovo di Torino al Conclave? Secondo i beninformati il suo candidato era il cardinale canterino. Chi l'ha scampata bella è Enzo Bianchi che temeva l'elezione di Parolin: nel 2021 firmò il provvedimento del suo allontanamento da Bose

A mezzogiorno di giovedì scorso si diceva che Pietro Parolin avesse 49 voti e Robert Prevost 38, ma nel pomeriggio, come nel 2013, i voti si sono spostati su quest’ultimo che è subito diventato Leone XIV. Americano atipico, uomo colto e dalla spiritualità solida, esponente dell’area bergogliana, monaco agostiniano e canonista, piuttosto schivo e riservato, egli ha contribuito, come prefetto del Dicastero per i vescovi, alla nomina di centinaia di presuli e ha gestito, non senza problemi ma con efficacia ed equilibrio, la difficile questione del cammino sinodale tedesco. La sua ascesa al Soglio di Pietro ha sicuramente rappresentato una scelta di convergenza, o meglio di compromesso, fra la continuità bergogliana e la necessità di un pontificato più attento all’unità della Chiesa. Nel primo discorso è apparso chiaro il riferimento al proseguimento del processo sinodale ed è su questo punto che forse è avvenuto l’incontro fra le istanze innovatrici della maggioranza progressista e quelle più moderate, rappresentate dal cardinale Parolin, che partiva favorito, ma al quale sono mancati i suffragi dei cardinali americani.

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Come ha votato l’arcivescovo di Torino Roberto Repole? Difficile dirlo, anche se si sussurra che il suo candidato fosse il cardinale filippino Luis Antonio Tagle, sostenuto dall’ala più apertamente filobergogliana, inopinatamente “bruciato” dopo la diffusione del video in cui cantava Imagine, cosa che pare abbia indisposto i cardinali africani. Certamente, quando il cardinale protodiacono, Dominique Mamberti, ha pronunciato il nome Robertus ad alcuni preti torinesi è corso un brivido lungo la schiena.

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Nella sua prima Messa da papa, concelebrata con i cardinali nella cappella Sistina, Leone XIV ha delineato il programma del suo pontificato con toni e contenuti ben diversi da quelli usati da Francesco nel 2013. «Il nostro compito è sparire perché rimanga Cristo, farci piccoli perché Lui sia conosciuto e glorificato, spenderci fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e di amarlo», ha affermato. Ma ha anche pronunciato parole che da tempo non ascoltavamo più e che rappresentano un giudizio chiaro sul nostro tempo: «Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare il Vangelo e dove chi crede è deriso, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco. Anche oggi non mancano i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente ad una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, come in un ateismo di fatto». Queste parole dicono che per il nuovo papa la priorità è la crisi della fede, rimettere perciò Dio al centro, perché non basta un cristianesimo culturale o declinato come vago umanesimo.

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Dalla Casa della Madia di Albiano d’Ivrea, Enzo Bianchi, il cui candidato al Soglio era il francese Jean-Marc Aveline, ha tirato un sospiro di sollievo. Grande era infatti il timore che diventasse papa il Segretario di Stato Parolin, colui che, su mandato di Francesco, firmò nel 2021 il provvedimento canonico che lo allontanava da Bose. Da tempo, alcuni dei suoi più sprovveduti accoliti, andavano diffondendo la pia leggenda secondo cui l’estromissione del “monaco da palco” fosse dovuta alla esclusiva volontà del cardinale alla quale il povero Bergoglio – proprio lui! – avrebbe soggiaciuto. Ora il pericolo è scampato, ma tutto fa prevedere che Leone XIV confermerà Parolin nel cruciale ufficio che oggi ricopre e agirà da qui in avanti in piena intesa con lui e con la diplomazia vaticana e già questo segnerà un punto di cesura con Francesco che si muoveva in campo internazionale utilizzando la “diplomazia parallela” della Comunità di Sant’Egidio di cui fa parte, fin dalle origini, il cardinale Matteo Zuppi.

Approdando dalla Serra al piano di Albiano, nel 2023, l'ex priore disse che non avrebbe dato vita a una «seconda Bose». È di qualche settimana fa la notizia che è stata costituita, «per ritrovare i tratti distintivi dell’insegnamento spirituale di fratel Enzo Bianchi e dell’esperienza di Bose», la Fraternità monastica della Madia, composta da sette «monaci e monache» che vivranno secondo la Regola di Bose e che a breve sarà pubblicata la Carta Fraternitatis, in cui sarà presentato «lo spirito della Comunione della Madia, le sue finalità, le modalità specifiche del legame spirituale, gli impegni chiamati ad assumere» ecc. Se non è questa una replica di Bose... Sembra però che il nuovo vescovo di Ivrea, monsignor Daniele Salera, abbia fatto divieto ai suoi preti, in ossequio alle disposizioni emanate a suo tempo dal Segretario di Stato, di recarsi alla Madia o di andarvi a celebrare.

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