RETROSCENA

Cirio studia lo sbarco a Roma, calendario e partiti frenano

Com'è noto il governatore non vuole perdere la prima occasione utile per entrare sulla scena nazionale. Ma il 2027, quando Meloni vorrebbe andare alle elezioni, è troppo presto, significherebbe lasciare la Regione con due anni di anticipo. E anche gli azzurri...

Manovre, strategie e qualche malumore: il risiko politico in vista delle elezioni del 2027 sta già agitando le acque del centrodestra, con il Piemonte al centro di un intricato gioco di incastri. Il governatore Alberto Cirio, sempre più ambizioso, sembra guardare oltre il grattacielo del Lingotto, puntando a un ruolo di primo piano nello scacchiere nazionale. Ma il suo piano, che potrebbe portarlo a dimettersi prima della scadenza del mandato regionale nel 2029, non piace a tutti, soprattutto a partire da casa sua, Forza Italia, dove si teme di perdere la guida del Piemonte a favore della Lega o, peggio, di Fratelli d’Italia. I big del partito di cui è vicesegretario nazionale, inoltre, non mostrano grande fregola di avercelo tra i piedi, da qui le mosse per tenerlo dentro il recinto domestico.

Election day nel 2027

Il contesto è chiaro: Giorgia Meloni, forte del vento in poppa che spinge Fratelli d’Italia, starebbe orchestrando un’elezione unica nel 2027, accorpando politiche anticipate (primavera, quanto basta per garantire la pensione ai parlamentari) e amministrative, posticipate dall’autunno 2026. L’obiettivo? Sfruttare l’onda lunga delle politiche per conquistare le grandi città – Roma, Milano, Torino, Napoli – dove il centrodestra tradizionalmente arranca. Ed è qui che entra in gioco Cirio. Il governatore, già europarlamentare, sa che il suo mandato regionale scade troppo tardi per ambire a un posto di peso nel prossimo governo. Da qui l’ipotesi di dimissioni anticipate, che gli consentirebbero di correre per un seggio nazionale o, meglio ancora, di puntare a una poltrona da ministro. Il problema è che dovrebbe tagliare la corda troppo presto, ben due anni prima della scadenza naturale della legislatura in corso.

In caso di addio, la Regione passerebbe alla vicepresidente Elena Chiorino, sul “modello Calabria” del 2020, quando Nino Spirlì guidò la giunta dopo la morte di Jole Santelli. Chiorino, sorella d’Italia, traghetterebbe il Piemonte verso nuove elezioni (mmettendo una fiche sulla successione), ma il passaggio non è privo di rischi. A Torino, infatti, il centrodestra potrebbe perdere terreno, e Forza Italia teme di restare con un pugno di mosche. Ne è consapevole il capogruppo azzurro a Palazzo Lascaris, Paolo Ruzzola, che in un recente incontro privato avrebbe confidato: “Neanche a Tajani piace l’idea”. Il timore è che, senza Cirio, la presidenza del Piemonte finisca se non al centrosinistra (al momento piuttosto smandrappato) agli alleati. A FdI o magari alla Lega, con il sindaco di Novara Alessandro Canelli in pole position. L’alternativa in Forza Italia, il ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo, non scalda i cuori: “Non prende un voto neanche nella sua Moncalieri”, sussurrano i maligni.

I timori dei forzisti

A complicare il quadro c’è lo scontro tra alleati a livello nazionale. La Lega, che governa Veneto e Lombardia, dovrà cedere se non entrambe almeno una delle due regioni a Fratelli d’Italia, partito egemone ma senza presidenti al Nord. Nonostante le perorazioni di Attilio Fontana e Luca Zaia, che vogliono successori leghisti, è improbabile che il Carroccio venga accontentato. Il Veneto dovrebbe restare verde, ma a Milano un meloniano potrebbe presto sedersi a Palazzo Lombardia, al punto che per onorare il patto la premier avrebbe intenzione di chiedere le urneb anticipare di un anno per la regione lombarda. In ogni caso, nella remota ipotesi che la Lega riuscisse a tenere entrambe le regioni, toccherebbe a Forza Italia cedere il Piemonte a Fratelli d’Italia, già circolano i nomi della Chiorino e dell’assessore alla sanità Federico Riboldi.

In questo scenario, i detrattori di Cirio in Forza Italia hanno gioco facile: lasciare il Piemonte significherebbe regalare la Regione agli alleati, con gli azzurri relegati a un ruolo marginale. “Alberto deve restare dov’è”, è il mantra che circola tra i forzisti. Basterà a dissuadere il governatore dal grande salto sulla scena nazionale? No.

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