L’art. 18 di Donat-Cattin e i referendum di Landini
Giorgio Merlo 09:06 Martedì 13 Maggio 2025
Diciamocelo con franchezza. E anche con sincerità. Non c’è alcun confronto possibile, né tantomeno credibile, tra lo storico “Statuto dei lavoratori” varato nel lontano maggio del 1970 con il ruolo decisivo e determinante dell’allora Ministro del Lavoro Carlo Donat-Cattin – o “dei lavoratori” come si definì il leader della sinistra sociale della Dc – e i referendum promossi dal capo dell’altrettanto storico “sindacato rosso” della Cgil e avallato dai tre capi della sinistra italiana contemporanea. E cioè, il Pd della Schlein, i 5 stelle di Conte e il partito del trio Fratoianni/Bonelli/ Salis.
E questo perché quando nel nostro Paese si parla di lavoro, di politiche del lavoro, di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ormai famoso e celebre art.18 il pensiero corre immediatamente all’approvazione di quello “Statuto dei lavoratori” che, dal maggio 1970 in poi, ha contribuito a cambiare in profondità la legislazione riconducibile al mondo del lavoro e, nello specifico, la difesa e la promozione dei diritti dei lavoratori. Per questi motivi non possiamo non ricordare una celebre definizione proprio di Donat-Cattin durante il dibattito parlamentare per l’approvazione dello Statuto: “Con questa legge abbiamo portato la Costituzione nelle fabbriche”. Una legge, comunque sia, che ha segnato con rara efficacia ed incisività il cammino della cultura riformista nel nostro paese sul versante del lavoro e di tutto ciò che lo ha concretamente disciplinato. Un riformismo, è inutile negarlo, che richiamava anche, e soprattutto, il contributo decisivo e determinante di quel cattolicesimo sociale che era, e resta, un pilastro essenziale della qualità della nostra democrazia e della sua capacità di difendere le ragioni concrete dei lavoratori e delle condizioni di vita dei ceti popolari. Un cattolicesimo sociale che proprio oggi, dopo l’elezione di Papa Leone XIV e con l’inevitabile e ormai inevitabile riferimento alla storica enciclica “Rerum Novarum”, ritrova una rinnovata modernità ed attualità.
Ora, però, è di tutta evidenza che non possiamo tracciare confronti impropri tra ieri e oggi. Penso, nello specifico, ai referendum sul lavoro del prossimo 8/9giugno che rispondono esclusivamente ad una precisa finalità politica. Ribadita, del resto, dagli stessi promotori. E, nello specifico, dal capo della Cgil che non perde occasione per dire solennemente che l’obiettivo principale di questa consultazione referendaria è quello di dare un colpo decisivo all’attuale maggioranza di governo. Obiettivo condiviso dai leader degli altri tre partiti della sinistra. Obiettivo, sia chiaro, del tutto legittimo ma radicalmente estraneo ed esterno rispetto ai quesiti specifici dei vari referendum sul lavoro.
Ed è proprio per queste ragioni che è del tutto fuori luogo paragonare la grande stagione democratica, riformista e costituzionale che ha prodotto il varo dello “Statuto dei lavoratori” con la propaganda politica contemporanea. Perché 50 anni fa si trattava di difendere, e finalmente, i diritti dei lavoratori e di far entrare i valori costituzionali nei luoghi di lavoro - come, appunto, sosteneva il Ministro del Lavoro Donat-Cattin – e, in ultimo ma non per ordine di importanza, di unire e coinvolgere il sindacato in una vera e propria azione riformatrice. Altra cosa, tutt’altra cosa invece, è teorizzare e praticare una mera operazione politica che spacca il sindacato – come sta concretamente capitando nel rapporto con la Cisl –, che non individua una chiara normativa che regolamenti il mondo del lavoro e che, soprattutto, non migliora le condizioni dei lavoratori ma che rischia, paradossalmente, di acuire ed aggravare ancora di più il rapporto tra l’impresa e il lavoro.
Ecco perché non c’è alcun appiglio concreto per tracciare un collegamento politico, culturale e sociale tra la stagione autenticamente riformista e con una forte e qualificata cultura di governo che coincise con l’approvazione dello “Statuto dei lavoratori” e quella escogitata adesso da Landini, Schlein, Fratoianni e altri. Nel rispetto delle singole fasi storiche e dei rispettivi protagonisti politici, è consigliabile non alimentare confronti singolari e del tutto fuori luogo.