Il sindacato faccia il sindacato
Claudio Chiarle 06:00 Mercoledì 14 Maggio 2025
I bassi salari in Italia sono il secondo argomento, insieme alle morti sul lavoro di cui ho parlato precedentemente, di dibattito al 1° maggio su cui spicca il rilancio del salario minimo da parte dell’opposizione di Pd, M5s e della Cgil.
Certo siamo uno dei pochi Paesi della Ue a non avere una legge sul salario minimo, con salari sotto la media Ue su cui però bisognerebbe capire con quali criteri si stabiliscono le graduatorie. Ad esempio, sono calcolati come salario le quote che le aziende versano per la previdenza integrativa e sanitaria, i benefit aziendali o si calcola solo il minimo salariale, andrebbe anche considerato il valore del salario in relazione al costo della vita e dei servizi sociali. Comunque siamo anche il Paese in cui la contrattazione collettiva riguarda tutti i lavoratori dipendenti pubblici e privati e con un sindacato confederale, seppur diviso, ancora molto forte, a differenza della maggior parte dei Paesi europei in cui il sindacato ha poco peso con l’unica eccezione della Germania dove contrattazione collettiva e salario minimo convivono ma è anche evidente la forza espressa dall’economia tedesca in confronto a quella italiana.
Dire da parte della sinistra, dell’attuale dirigenza del Pd e ancor di più da parte della Cgil che occorre un salario minimo per legge significa sminuire il ruolo della contrattazione collettiva nazionale di categoria di Cgil-Cisl-Uil e fornire un assist molto forte alla politica di destrutturazione del salario da parte di Confindustria.
Confindustria e Federmeccanica, ormai governate da imprenditori di piccole e medie dimensioni in cui la gestione del salario è sempre stata vissuta molto in un’ottica di rapporto diretto con il dipendente attraverso il superminimo, soffrono molto la regolamentazione della contrattazione collettiva soprattutto nazionale. Trova quindi terreno fertile nelle imprese l’idea, di sinistra, di un salario minimo perché pensano che apra la possibilità di deregulation della contrattazione collettiva favorendo, dopo avere erogato il minimo salariale, la gestione della rimanente quota di salario ad personam superando così anche l’attuale inquadramento professionale.
Questo è uno dei motivi, il principale, per cui non si rinnovano molti contratti nazionali a partire da quello dei metalmeccanici e l’azione politica dell’attuale dirigenza del Pd, dei Cinquestelle e della Cgil non fa che mantenere questa posizione attendista delle imprese che sanno benissimo quanto la sinistra stia, consapevole o inconsapevole, lavorando per il loro obiettivo.
Perché a sinistra si fa finta di non vedere tutto ciò? Sostenendo il salario minimo, si indebolisce il sindacato confederale il quale, con strade diverse, ha intrapreso una strada istituzionale più che contrattuale con i referendum e le proposte di legge di Cgil e Cisl. In realtà già dal 1995 con un referendum promosso da Rifondazione Comunista e Cobas si chiedeva la liberalizzazione delle rappresentanze sindacali dal monopolio di Cgil-Cisl e Uil. Referendum che fu respinto ma furono invece approvati quelli che estendevano la rappresentanza nella contrattazione pubblica anche alle organizzazioni di base e quello relativo all’abrogazione sulla norma della rappresentatività sindacale per la contrattazione collettiva sempre per il pubblico impiego.
Ecco da dove origina la destrutturazione contrattuale dei sindacati maggiormente rappresentativi a favore di sindacati non rappresentativi e dei cosiddetti contratti pirata. Di tutto ciò le organizzazioni datoriali ne stanno cogliendo i frutti non rinnovando, strategicamente, i contratti e sperando ancora in un assist da sinistra: il salario minimo. Temo che se la presidente del Consiglio capirà alleandosi con Confindustria la possibilità di fare un’apertura a sinistra e dare così, contemporaneamente, un colpo fatale alla sinistra, quella sinistra l’idea di governare non la vedrà mai e il danno per i lavoratori e lavoratrici sarà enorme.
Oltretutto Landini e la Cgil chiedono una legge sulla rappresentanza sindacale, ben sapendo appunto che gli attacchi alla rappresentatività confederale è venuta da sinistra e non da destra. Sinistra che era di casa in Cgil come Rifondazione nel 1995. Legge sulla rappresentanza che, unico cislino, condivido. La quale servirebbe, però, a fare chiarezza su quanto ognuno rappresenta e assumersi le responsabilità contrattuali conseguenti anziché restare nell’indeterminatezza creando solo confusione di cui approfittano imprenditori e sindacati pirateschi. Anche se i contratti pirata sono un falso problema come dicono le statistiche del Cnel perché i contratti nazionali firmati da Cgil-Cisl e Uil sebbene siano circa 300 su un migliaio essi coprono il 92% dei dipendenti del settore privato, circa dodici milioni di lavoratori. Una piccola parte da sindacati nazionali non confederali come Ugl o sindacati autonomi (circa 3%) è denominabile come contratto pirata, che riguardano soprattutto cooperative, commercio, logistica e servizi. Sicuramente un numero complessivo così alto di contratti dimostra ormai la necessità di mettere mano al problema. Non però a scapito del ruolo contrattuale del sindacato confederale come sta facendo l’attuale dirigenza Pd, la Cgil e i 5s, assumendo il ruolo di Comunardo Niccolai e favorendo le strategie di Confindustria per cui se passa il salario minimo la prima azione sarà ridurre gli aumenti contrattati a favore di salario elargito unilateralmente.
Tantissimi contratti sono poi in ritardo di scadenza aumentando il salariale notevole ma qui dovremmo fare ammenda sindacale perché siamo passati da un sistema che predefiniva l’inflazione a un sistema che paga l’inflazione in alcuni casi diciotto mesi dopo e spesso le aziende, nelle clausole contrattuali, sono riuscite a fare abolire il concetto di indennità di vacanza contrattuale. Esiste un problema di recupero di contenuti contrattuali persi negli anni.
Quindi quando sentiamo dei sindacalisti confederali dire che in Italia c’è un problema di salari bassi devono ricordarsi che loro, non altri, hanno in mano la gestione degli aumenti salariali di oltre il 90% dei lavoratori italiani e che il salario passa, tranne il superminimo, quasi tutto attraverso la loro capacità e responsabilità contrattuale. Certo anche il Governo può fare la sua parte con sgravi fiscali e decontribuzione ma è una parte limitata. Allora occorre rilanciare i contenuti della contrattazione nazionale e aziendale estendendola anche alle piccole imprese con la contrattazione territoriale tornando a fare il sindacato e non il movimentismo politico come la Cgil di Landini il cui problema è se a sinistra c’è qualcuno più a sinistra.