ECONOMIA DOMESTICA

Ex Ilva, suonano campane a morto. Cassa integrazione per 4mila operai

Ai 3.538 dello stabilimento di Taranto si aggiungono in Piemonte i 165 di Novi Ligure e i 45 di Racconigi. Sindacati e opposizioni contro il governo: "Un fallimento totale". A rischio la vendita agli azeri e altri problemi arrivano dall'Europa

L’ex Ilva chiede la cassa integrazione per quasi 4mila lavoratori. Acciaierie d’Italia, in amministrazione straordinaria, ha comunicato ai sindacati la domanda, che riguarda in tutto 3.926 addetti, tra i quali 3.538 dello stabilimento di Taranto. La mossa arriva dopo il dimezzamento della produzione seguito al sequestro disposto dalla Procura dell’altoforno 1, dove il 7 maggio si è verificato un grave incendio dovuto allo scoppio di una tubiera. La cig è stata chiesta anche per 178 lavoratori di Genova, 165 di Novi Ligure e 45 di Racconigi.

La decisione dell’azienda era stata anticipata questa mattina dal ministro per le Imprese, Adolfo Urso, durante un’intervista a Radio24. “Avevamo detto che era necessario fare le attività di messa in sicurezza dell’impianto. Purtroppo, l’autorizzazione è stata data troppo tardi e ha compromesso l’attività produttiva, cioè l’altoforno 1. Questo vuol dire che non ci sarà più la possibilità di riprendere un livello produttivo significativo come previsto nel piano industriale, che avrebbe portato alla piena decarbonizzazione degli impianti mantenendo una fase di transizione produttiva e quindi anche occupazionale”, ha detto Urso. Per quanto riguarda la cessione dell’impianto, messa potenzialmente a rischio dallo stop dell’altoforno 1, il ministro ha precisato che il negoziato con gli azeri “è in corso, è giunto ai nodi cruciali, noi andiamo avanti con chiarezza, ci auguriamo che tutti collaborino”.

Sindacati e opposizioni sulle barricate

Dalla Cgil è già arrivata una secca replica: le responsabilità non ricadano di nuovo sui lavoratori. “La Fiom-Cgil non accetterà percorsi di cassa integrazione senza alcuna chiarezza sulle prospettive future dell’ex Ilva – ha detto il coordinatore nazionale siderurgia per Fiom-Cgil, Luigi Scarpa –. Non può essere che i lavoratori ancora una volta paghino le conseguenze dell'incapacità di far partire la decarbonizzazione degli impianti. In questo modo si mettono in discussione tutte le tutele salariali, occupazionali e di messa in sicurezza dei lavoratori e degli impianti, che abbiamo conquistato nei precedenti accordi”. E ancora: “Da mesi diciamo che le risorse non sono state garantite in modo sufficiente ad assicurare il piano di ripartenza e ora non può essere che la soluzione sia collocare i lavoratori in cassa integrazione chissà per quanto tempo. Per quel che ci riguarda va contrastato questo percorso unilaterale. Ne discuteremo con i lavoratori e le altre organizzazioni sindacali”. Raffaella Paita, capogruppo al Senato di Italia Viva, punta il dito contro l’esecutivo di Giorgia Meloni: “La situazione dell’ex-Ilva di Taranto è ormai drammatica. Vi sono gravi responsabilità del governo e di Urso per questa crisi. Con che faccia il ministro adesso viene a dirci che di fatto l’azienda va verso la chiusura e ci saranno altra cassa integrazione e la perdita di altri posti di lavoro? È gravissimo, Urso si dovrebbe dimettere”. Molto duro anche il leader di Azione Carlo Calenda: “L’ultima possibilità per Ilva era l'accordo blindato con Mittal fatto saltare dai 5S-PD-IV (che poi ci hanno fatto una società insieme) con la complicità di media, politica locale, magistratura e sindacati. Ora si tratta solo di capire quanti miliardi di euro butteremo prima di chiuderla ufficialmente. Poi ci saranno 15 miliardi di bonifiche da fare. Ma c’era da accontentare la Lezzi dopo le elezioni europee. Ci meritiamo un meteorite”.

Grane europee

La scorsa settimana, l’ex Ilva di Taranto è finita al centro anche di una nuova procedura d’infrazione della Commissione europea nei confronti dell’Italia. Bruxelles ha inviato infatti una lettera di costituzione in mora per non aver recepito la direttiva Ue sulle emissioni industriali. «L’Italia non garantisce che l’impianto operi in conformità con la normativa dell’Ue sulle emissioni industriali, con gravi conseguenze per la salute umana e l’ambiente», ha spiegato l’esecutivo comunitario in una nota. L’invito, dunque, è di adeguarsi al più presto ai limiti europei per proteggere la salute degli abitanti e il territorio di Taranto. L’Italia ha due mesi per rispondere, altrimenti la Commissione potrà procedere con un parere motivato e portare avanti l’iter di infrazione.