ALLE URNE

Referendum colpiti al quorum

Dai dati in arrivo dal Viminale la conferma: nessuno dei cinque quesiti ha raggiunto il 50% più uno degli aventi diritto necessario per validare la consultazione. L'affluenza si attesta intorno al 30%. Tra chi ha votato per la cittadinanza il 35% ha detto "No"

Il referendum non è valido. In nessuno dei cinque quesiti che sono stati proposti. Il quorum infatti non è stato raggiunto e si è fermato al 30%. Un risultato che si poteva prevedere con facilità, ma che non dice tutto quel che c’è da dire. A poche ore dalla chiusura delle urne è infatti scoppiata la bagarre di dichiarazioni e contro riflessioni sull’esito della consultazione. Se per il centrodestra si tratta di una cocente sconfitta della sinistra; i proponenti fanno i conti con gli elettori di oggi e quelli che hanno portato Meloni al Governo. In fondo si sa, in politica i numeri non hanno il valore oggettivo che hanno per il resto del mondo.

“Non è una vittoria… ma”

Prima di presentarsi davanti ai giornalisti Maurizio Landini, il leader della Cgil, si è preso il tempo necessario per ragionare con i propri uomini. La montagna però ha partorito il classico topolino. L’ammissione della sconfitta (“Non è una vittoria”) arriva, ma è solo il preludio: “Ripartiamo da questi 14 milioni che, insieme alle persone che ci hanno sostenuto, sono una base fondamentale su cui lavorare”. Dice il sindacalista precisando che le sue dimissioni non sono all'ordine del giorno. 

Poi, nel tardo pomeriggio, evidentemente dopo giri di telefonate e bozze scritte e riscritte, arrivano i commenti di Giuseppe Conte e Elly Schlein. Con diverse sfumature nei fatti dicono la stessa cosa: ovvero che il numero di elettori che ha votato a questi referendum è lo stesso che è bastato a Giorgia Meloni per diventare capo del Governo. Elly Schlein, la segretaria del Pd, se la cava con una battuta: “Quando più gente di quella che ti ha votato ti chiede di cambiare una legge dovresti riflettere invece che deriderla”.

“Volevate far cadere Meloni e invece…”

Per un centrosinistra che nei fatti non si sente sconfitto, c’è un centrodestra che festeggia. I primi a farlo, già con la grafica pronta da pubblicare sui social, sono stati quelli di Fratelli d’Italia. Ore 15 in punto e il post è servito: una fotografia di Riccardo Magi, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Elly Schlein e Nicola Fratoianni - i politici promotori della consultazione - con la scritta “Avete perso”. La tesi è chiara: “L’unico vero obiettivo di questo referendum era far cadere Meloni. Alla fine, però, sono stati gli italiani a far cadere voi”.

Che alla fine è la stessa tesi che sostiene Matteo Salvini quando parla di “un’enorme sconfitta per una sinistra che non ha più idee e credibilità e che non riesce a mobilitare neanche i propri elettori”. E in questo pomeriggio di interpretazioni assolutamente non unidirezionali anche Antonio Tajani ha perso il suo aplomb e non usa mezze parole quando dice che la sinistra ha voluto tentare l’assalto al governo usando il grimaldello dei referendum: “e alla fine, ancora una volta, ha vinto la maggioranza di centrodestra”.

Calenda spariglia il “campo largo”

C’era da aspettarselo, ma alle fine il primo a rompere le uova nelle paniere del “campo largo” è stato Carlo Calenda per il quale “trasformare questo referendum in una consultazione contro la Meloni è stato un clamoroso autogol”. Un modo, quello del segretario di Azione, per tentare di portare acqua al proprio mulino e di lanciare un affondo contro Landini, Conte, Fratoianni e Bonelli: “se la sinistra continua a farsi trascinare dalle loro battaglie ideologiche non andrà da nessuna parte; è forse tempo che i riformisti di qualsiasi schieramento prendano atto che occorre costruire un'area liberale lontano dal campo largo e dalla destra sovranista”.

E la cittadinanza?

Se ci volessimo concentrare sui risultati, facendo un esercizio di stile, c’è un dato tra gli altri che è di interesse dal punto di vista politico e riguarda il quinto quesito. Oltre un elettore su tre che si è recato alle urne si è infatti detto contrario ad abbassare i tempi per la concessione della cittadinanza. Il 35% circa. Un dato politico che sottolinea, se ancora ce ne fosse bisogno, che si tratta di un tema che divide non solo il Paese, ma anche gli elettori di centrosinistra.

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