Quando non batte più il quorum

Il raggiungimento del numero di elettori utile al fine di validare il referendum dell’8 e 9 giugno, il cosiddetto "quorum", era senz’altro una sfida impegnativa: un obiettivo davvero difficile da raggiungere. La scarsa informazione mediatica in merito ai cinque quesiti, la frammentazione del mondo del lavoro e il crescente disinteresse dei cittadini nei confronti dei seggi sono fattori che hanno distrutto la causa referendaria. L’importanza dei temi sottoposti al giudizio degli italiani avrebbe dovuto, a rigor di logica, indurre una percentuale più alta di persone ad esprimersi con il voto; invece, l’apatia ha trionfato mettendo al tappeto la difesa dei nostri diritti.

Malgrado la costante crescita dell’astensionismo, i quesiti ritenuti davvero “importanti” tendono solitamente a suscitare interesse tra la popolazione. La quantità di attenzione che i cittadini rivolgono ai temi referendari è direttamente proporzionale alla “spinta” del quorum verso l’alto: meccanismo che si dava per scontato avvenisse anche in quest'ultima scelta tra Sì e No.

Le statistiche nazionali smentiscono la veridicità del dato che indica nel 70% la porzione degli italiani a capo di un’azienda, i cosiddetti “imprenditori”. Scartata l’ipotesi che il corposo astensionismo sia attribuibile a chi voglia difendere il Jobs Act per garantire buoni profitti alla propria attività economica, sarebbe adesso utile comprendere per quale ragione solamente un elettore su tre ha aderito a quest’ultimo referendum.

Partiti e sindacati, incluse le confederazioni che hanno fatto appelli a favore del non voto (quali la Cisl e Ugl), dovrebbero riesaminare a bocce ferme, con freddo distacco, il tortuoso percorso intrapreso ogniqualvolta è stato loro necessario confrontarsi con la flessibilità del lavoro introdotta dalla “riforma renziana”.

Lo stravolgimento della normativa del lavoro, il Jobs Act, nasce in un contesto ricco di grandi contraddizioni. Nel 2013, il promotore della riforma ha scalato i vertici del partito, rivestendo in seguito il ruolo di segretario del Pd e poi di presidente del Consiglio, promettendo ai militanti di ostacolare qualsiasi attentato contro lo Statuto dei lavoratori, all'epoca oggetto di innumerevoli proposte di modifica in peggio (alcune provenienti anche dal Centrosinistra stesso).

Il leader democratico non solo ha tradito le promesse fatte alla sua base, con la redazione e l’approvazione nel 2016 del Jobs Act, ma ha pure imbavagliato il mondo sindacale. Quest’ultimo ha addirittura utilizzato il nuovo strumento normativo (incentrato sul primato della precarietà nei rapporti di lavoro) per le nuove assunzioni. La tutela del lavoro, negli ultimi vent’anni, è stata continuamente in balia di contraddizioni su contraddizioni, sino all’ultima riguardante i numerosi dipendenti che hanno rifiutato il vaccino anti Covid imposto dal governo Draghi.

Nel 2021, infatti, l’esecutivo ha decretato la sospensione dal lavoro, con busta paga zero, per tutti coloro che non hanno voluto accettare di sottoporsi alla vaccinazione di massa: misura drastica (che ha privato del salario migliaia di famiglie) avvallata dalle stesse organizzazioni sindacali. La stretta imposta dall’esecutivo guidato dall’ex banchiere d’Italia ha generato un nutrito fronte di lavoratori, appartenenti in gran parte all'aera politica progressista, che si dichiara oramai lontano da qualsiasi istituzione, sia essa politica che sindacale.

L’elettore tende a non badare ai cambi di vertice che avvengono nei partiti. Poco importa loro se alla guida del Pd non sieda Renzi, ma Schlein, e poco interessa, al contempo, l'arrivo al vertice della Cgil del combattivo Landini. Il cittadino di sinistra, in compenso, non dimentica gli improvvisi cambi di rotta effettuati dai propri leader, che rubrica sotto la voce “tradimento” e, soprattutto, non è più disposto a riconsegnare automaticamente la sua fiducia a chi lo ha deluso.  

Occorre ripartire proprio dalla coerenza, dall’affidabilità, dall’identità politica di partiti, movimenti e sindacati; occorre chiarezza, posizioni precise e mai ambigue. Il lavoro e i diritti vanno difesi sempre con forza: questo Paese non conta un 70% di cittadini proprietari di impresa e filo meloniani, ma al contrario registra quotidianamente una stragrande maggioranza di pensionati, che percepiscono sussidi da fame, di lavoratori con contratti super precari e di studenti abbandonati a sé stessi.

Per risalire la china è necessario rivolgersi senza incertezze, o ripensamenti da calcolo politico, a coloro che pagano tutti i giorni la massiccia campagna di privatizzazione dei servizi pubblici, in corso da decenni, e le riforme iperliberiste, comprese quelle che interessano la sanità: solo così potremmo forse evitare altre sconfitte collettive e governi di destra per i prossimi 20 anni.

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